Se potessi avere 500 euro per l’aggiornamento…

500 euro agli insegnanti: per l’aggiornamento.

Un po’ di chiarezza.

euri

Premetto che, con l’Adi – www.adiscuola.it -, abbiamo svolto una analisi critica seria e costruttiva della legge 107, detta della “Buona scuola”; questo, per dire che non faccio parte dei sostenitori a scatola chiusa (come ho visto fare ad una assemblea del PD, a Giavera del Montello); anzi, abbiamo forti critiche e chiare proposte alternative.

Ma è certo: il governo Renzi ha invertito la rotta dei finanziamenti alla scuola, dopo anni di tagli (in parte necessari, in parte selvaggi, in parte colpevoli).

Nuovi finanziamenti arrivano alle scuole per le spese di funzionamento, altri per l’alternanza scuola lavoro, altri per i laboratori territoriali multifunzionali e altri ancora per l’aggiornamento degli insegnanti (la card con 500 euro annuali).

Senza dire della sistemazione di migliaia di insegnanti (una delle parti discutibili della riforma).

Chi ironizzava, deve fare i conti con la realtà.

Oggi giunge notizia che per quest’anno i 500 euro dell’aggiornamento verranno versati con lo stipendio; anche in questo caso alla faccia di chi ironizzava.

Ma erogarli sullo stipendio non è una buona cosa, anche perché in molti casi non verranno utilizzati per l’aggiornamento (e non si dica che tutti gli insegnanti si aggiornano, perché sappiamo tutti che non è vero).

Gli insegnanti, comunque, aspettano da anni il rinnovo del contratto di lavoro; per il momento vengono pagati in modo patetico, spesso anche umiliante (e se non ci fossero altre motivazioni, non avrebbe senso svolgere certe attività): lo stipendio, quindi, deve essere stabilmente integrato con il rinnovo del contratto (seria professionalità, seria valutazione, seria retribuzione)

Invece i 500 euro devono essere spesi per l’aggiornamento e quindi, giustamente, devono essere erogati con una card finalizzata.

Ma basta ironie: finalmente sulla scuola si interviene, e se non ci fossero state ridicole proteste pregiudiziali (a base di “deportazione”, incatenamenti, scioperi della fame e quant’altro), forse qualcosa di migliore l’avremmo portato a casa.

L’importante è riuscire a dare stabilità dinamica (culturale ed economica) ad un sistema scolastico da anni in bilico tra avventurismo, conservatorismo, populismo e incompetenza.

Liturgie del nuovo anno.

Il nuovo anno scolastico e la protesta rituale.

Liturgie scolastiche.

Liturgie scolastiche.

Il nuovo anno scolastico comincia regolarmente: annunci di proteste, scioperi e boicottaggi.
E finirà come sempre, con una sconfitta degli insegnanti e la gioia dei promotori delle proteste (che minacceranno proteste sempre più straordinarie).

Gli studenti, dal canto loro, si comporteranno così:
– una parte minoritaria aderirà rumorosamente alle proteste (generalmente conservatrici, ma con l’accordo di alcuni insegnanti e dei sindacati), e crederà di essere maggioranza (e, forse peggio, crederà anche di essere nel giusto);
– finita la scuola, però, la parte maggioritaria della minoranza rumorosa e protestataria, ripenserà criticamente e ironicamente alle proteste scolastiche, e guarderà con bonaria sufficienza gli studenti che continueranno (ad ogni inizio di anno scolastico) a protestare.

E’ la liturgia – sempre uguale – delle proteste scolastiche.
Chissà che non sia il caso di cambiare qualcosa.

La buona scuola alla festa del PD (Giavera del Montello)

Le Elementari alle De Amicis

Le Elementari alle De Amicis

Ovvero, come i politici la raccontano e come il popolo si accontenta.

Premessa 1: il merito vero della cosiddetta “Buona scuola” (che giustifica anche il voto di fiducia per evitare l’insabbiamento) consiste nell’avere lasciato alle spalle l’antiberlusconismo di coloro che ancora pensano di migliorare la scuola con l’abrogazione della legge Gelmini.

Dal 2015, finalmente, il problema è di “andare oltre la Gelmini”, non di “tornare a prima della Gelmini”: grazie, quindi, alla L. 107/2015.

Del resto, bisogna avere il coraggio di ammettere che la Gelmini è intervenuta (sia pure maldestramente) su due questioni che dovevano essere assolutamente “toccate”: la confusione dei corsi sperimentali (ormai centinaia, senza alcuna verifica) e l’insostenibilità di alcuni curricoli (per numero ore settimanali di lezione e di discipline, specie negli indirizzi con maggiore dispersione e con una utenza più debole).

Premessa 2: se dovesse esserci un referendum sulla legge 107/2015 (“La buona scuola”), “oggi come oggi” sarei per il mantenimento della legge. E tuttavia, questa legge è carica di criticità che il governo deve avere il coraggio di evidenziare e correggere.

Detto questo, dal dibattito svoltosi alla festa del Pd di Giavera, basato sulla relazione dell’On. Malpezzi, è emerso questo:

  1. la legge 107 non è intervenuta sulle questioni prioritarie (vedi “Conclusioni e priorità”), perché nessuno – evidentemente – ha saputo o voluto riconoscerle; e quindi la legge è priva di quella che si chiama “vision” (un misto di pragmatismo e idealità proiettati nel futuro);
  2. la parte più importante della legge riguarda la messa in ruolo di decine di migliaia di docenti cosiddetti “precari”, indipendentemente dalle qualità-competenze, dalla disciplina insegnata e dalla collocazione geografica (vale a dire: potremmo avere insegnanti che non servono e potrebbero restare scoperti insegnamenti necessari); è stupefacente che i sindacati – con tutte le responsabilità che portano sul tema – non accolgano a braccia aperte questo sforzo del governo;
  3. la slide di apertura del dibattito evidenziava alcune problematiche, alle quali dovrebbe rispondere la legge 107, tra cui la dispersione scolastica e l’età avanzata dei docenti; bene: la legge 107 non affronta tali questioni, in parte perché esse sono regolate da altre leggi (pensioni, ad esempio, per quanto riguarda l’età), in parte perché è mirata all’obiettivo sbagliato (affrontare la “dispersione” dei docenti e non quella degli studenti).
  4. La relatrice, On. Malpezzi, ha sostanzialmente badato a minimizzare i rischi e a esaltare i risultati attesi, in entrambi i casi raccontando mezze verità: organico di potenziamento, autonomia scolastica, funzione del Dirigente scolastico, autonomia dei docenti, valutazione degli insegnanti e dei Dirigenti scolastici.
  5. Organico di potenziamento: secondo l’On. Malpezzi, con l’organico di potenziamento (sembra possa essere costituito da 7-8 docenti per ogni scuola) si potrebbero affrontare le seguenti problematiche: esonero dall’insegnamento dei vicepresidi, eliminazione delle classi-pollaio, supplenze brevi, progettazione, insegnamenti e attività opzionali, tutoraggio dei nuovi docenti. E’ evidente che non potrà essere così, sia perché l’organizzazione della scuola non lo consente, sia perché è assai improbabile che ogni scuola possa avere gli insegnanti che richiede (visto che la sanatoria non si è curata della materie insegnate, ma ha operato sostanzialmente per svuotare le graduatorie). Oltre tutto, gli insegnanti vogliono insegnare, non vagare per la scuola aspettando che ci sia qualcosa da fare. Questa operazione, del resto, è già stata fatta nel 1982 (anno di un’altra sanatoria epocale), quando venne creata la Dotazione Organica Aggiuntiva: un fallimento, perché anche quegli insegnanti volevano avere una classe per insegnare, non fare i tappabuchi.
  6. Carriera. Ciò vuol dire che non è necessario avere qualche insegnante addetto alla progettazione o al tutoraggio? Certo che è necessario, ma proprio per questo bisogna intervenire sulla “carriera dei docenti” (in ambito didattico e gestionale), non su ruoli e funzioni casuali ed estemporanei: ed è proprio quello che la legge non fa (nessuna carriera professionale e stipendiale per i docenti, solo qualche premio ogni tanto).
  7. Autonomia scolastica: l’autonomia scolastica è legge (e ha valore costituzionale) da oltre 15 anni, eppure è largamente inapplicata, ma nessuno si è chiesto perché; senza avere affrontato le cause di questo immobilismo, non si può rilanciare l’autonomia. Ed è evidente che l’autonomia non si può fare “precarizzando stabilmente” la professione docente (dopo spiego cosa significa). L’autonomia dovrebbe prevedere un ruolo forte del DS e degli organi collegiali e uno stretto rapporto di interazione con il territorio. Bene: ma gli organi collegiali non si toccano, perché i sindacati non vogliono (ha detto l’On. Malpezzi che lo faranno insieme con sindacati e studenti, i quali per altro sono contrari a ogni intervento dall’esterno, come se la scuola fosse un mondo a sé). Le nuove funzioni del DS: ne parlo al punto 8.
  8. Funzione del DS. E’ uno dei punti forti della legge, ma l’On. Malpezzi ha cercato di sminuirne l’importanza, probabilmente per anticipare le critiche, soprattutto per quanto concerne la scelta dei docenti (negando la “chiamata diretta”). Sia chiaro: il DS potrà scegliere i docenti (dalle liste dell’ambito territoriale; ma i docenti potranno anche proporsi ad un Dirigente scolastico) e stipulare con quei docenti un contratto triennale, che verrà rinnovato ogni tre anni (“precarizzazione stabile”? Non ci sarà più la titolarità in un Istituto preciso).Personalmente sono d’accordo sul fatto che una scuola possa formarsi il corpo docente migliore, più qualificato e motivato; credo anche, però, che non possa essere il DS, da solo, a fare questa scelta. Egli dovrebbe essere aiutato e consigliato da uno staff “libero”, cioè non scelto da lui, e perciò “di carriera”: ecco che ritorna la necessità di una “leadership intermedia”. Invece la legge prevede che il DS possa scegliersi uno staff (al quale non si dà alcuna garanzia), di fatto creando le condizioni per una conflittualità tra DS e docenti e tra i docenti (aumentata dalla “valutazione” premiale, vedi al punto 9).

    In ogni caso, questa scelta non è priva di problemi connessi, che devono essere affrontati: innanzitutto il fatto che gli insegnanti migliori scelgono le scuole migliori, che sono anche quelle con meno problemi: un conto è insegnare in un liceo classico, altra cosa insegnare in un professionale di periferia metropolitana; e quindi, quali sono gli strumenti per portare i buoni insegnanti nelle scuole difficili? Sostanzialmente due: la carriera e la retribuzione, ma su questo non c’è nulla.

    Oggi come oggi, l’unica carriera consentita ad un insegnante è questa: trovare una buona scuola (qualificata, tranquilla e in centro città) e avvicinarsi a casa o alla famiglia (questo penalizza anche la continuità didattica).

  9. Valutazione. L’On. Malpezzi nega che i docenti siano sottoposti a valutazione; in realtà è evidente che la legge ribadisce l’esistenza di un “Comitato per la valutazione dei docenti”, in cui vengono inseriti anche studenti e genitori, e questo Comitato deve stabilire i criteri per l’erogazione dei premi in denaro (proponendo anche, come primo criterio proposto dalla legge, la “qualità dell’insegnamento”). Che cosa non funziona, in questa proposta? Innanzitutto, se non è vero che il Comitato “valuta”, perché lo si è chiamato “Comitato per la valutazione dei docenti”? In secondo luogo, se – per evitare la logica della “valutazione” – il premio in denaro venisse distribuito a pioggia (come già consigliano alcuni sindacati, e come potrebbe accadere) non premierà nessuno; ma se anche si “premiasse” qualcuno, sicuramente non verrebbero premiati in modo significativo tutti i meritevoli; in terzo luogo i migliori insegnanti (che esistono, e non lo sono per un anno solo) non potranno prendere il premio ogni anno, per ovvi motivi. Infine, la logica premiale apre una competizione tra insegnanti, interna alle scuole, mentre c’è bisogno di più collaborazione (ed eventualmente di un po’ di sana competizione tra scuole). Insomma, questo premio in denaro fa più danni che altro.Se davvero vogliamo premiare i docenti migliori, bisogna aprire spazi di carriera (didattica e gestionale, e ritorna la questione della “leadership intermedia”).
  10. La valutazione dei Dirigenti. L’On. Malpezzi ha molto sottolineato l’importanza della valutazione dei Dirigenti, e in effetti l’autonomia scolastica e un ruolo significativo dei Dirigenti richiedono un sistema trasparente di rendicontazione e di valutazione; peccato non abbia chiarito che la nuova legge prevede una inaudita sanatoria per Dirigenti. Oltretutto, la valutazione sarà affidata (per alcuni anni) a ispettori “nominati” e non selezionati. Insomma, avremo una “valutazione asimmetrica” (vedi punto 11).
  11. Valutazione asimmetrica: mentre i docenti saranno valutati in due modi (innanzitutto dal DS che potrà proporre loro un contratto triennale e rinnovare o non rinnovare quel contratto dopo i tre anni; in secondo luogo dalla logica premiale del Comitato di valutazione), il Ds di fatto non sarà valutato o lo sarà in modo puramente formale (e probabilmente assolutorio).

Al dibattito di Giavera hanno partecipato anche studenti e genitori, che hanno proposto questioni di metodo e di merito.

Mi soffermo su pochi aspetti: la lotta alla dispersione, l’alternanza scuola-lavoro e la riforma dei cicli.

Lotta alla dispersione: si propone, come rimedio alla dispersione, l’innalzamento dell’obbligo; ma anche in questo caso si rischia di avere un approccio non scientifico alla questione; per iniziare, dobbiamo chiederci in quali scuole e in quali fasce sociali si concentri la dispersione; solo allora possiamo capire se il prolungamento dell’obbligo crei opportunità o vincoli ulteriori.

Prioritariamente, quindi, bisogna personalizzare i curricoli, adeguandoli alle diverse personalità e agli stili di apprendimento degli studenti, che non necessariamente devono formarsi su curricoli identici, fatto salvo il raggiungimento degli obiettivi in termini di competenze di base e di cittadinanza. Ma se obblighiamo gli studenti ad andare a scuola in una scuola che non amano, con materie che non apprendono e che non sono per loro significative, e poi in quegli anni di scuola li bocciamo ripetutamente, non facciamo alcuna lotta alla dispersione e li allontaniamo sempre di più dal sistema della conoscenza.

Riforma dei cicli: nessuno ha posto la questione del diploma a 18 anni, questione strategica che dovrebbe essere risolta unificando il ciclo dell’obbligo (con materie opzionali negli ultimi due anni e con possibilità dell’apprendistato); in questo ambito va posto anche il problema del “sistema duale”, un sistema che prevede una formazione che si fa a scuola e nel mondo del lavoro.

Ma questo apre anche il tema della istruzione e formazione professionale, che dovrebbe essere la vera risorsa contro la dispersione scolastica e invece diventa una delle cause. Ma il discorso andrebbe approfondito in altra sede (anche tenendo conto dell’art. 117 della Costituzione, e lo dico soprattutto ai sedicenti difensori della Carta).

Alternanza scuola-lavoro: in Italia, purtroppo, si sta perdendo la cultura del lavoro e spesso si ritiene che il lavoro sia sempre e solo sfruttamento; invece va rivalutata la cultura del lavoro come ambiente formativo. Ma che questo è un tema che richiede un approfondimento specifico. Certamente l’alternanza non può sostituire né il sistema duale né un buon apprendistato.

Conclusioni e priorità.

Ho utilizzato i contenuti del dibattito di Giavera per riproporre alcune questioni anche a me stesso (questioni che, per altro, ho avuto modo di esaminare in vari seminari e incontri a tutti i livelli: nazionale, regionale, locale e di istituto).

Tra l’altro, della scuola a Treviso si è parlato pochissimo. E spesso in modo pregiudiziale e approssimativo (come conferma il dibattito di Giavera).

Quali potrebbero essere le priorità da affrontare?

Dispersione: è il problema fondamentale; richiede revisione dei cicli e dei curricoli, personalizzazione e opzionalità, nuovo rapporto con il mondo del lavoro, attività laboratoriale, utilizzo delle Tic; bisogna rivedere rapidamente l’“istruzione e formazione professionale”, avendo chiaro lo il concetto secondo cui la Costituzione delega alle Regioni l’Istruzione e formazione professionale (in verità, la Costituzione lascia allo Stato le Norme generali, i Principi fondamentali e i Livelli essenziali delle prestazioni: il resto non compete più al Centro: ecco lo spazio dell’autonomia e della decentralizzazione).

Autonomia scolastica: autonomia reale (finanziaria, didattica, gestionale e di ricerca) anche nella selezione dei docenti; rendicontazione e valutazione esterna (di Istituto, Dirigente, Docenti e Apprendimenti, anche con prove comparative), necessità della leadership intermedia (didattica e gestionale); rapporto con il territorio, istituzioni locali e mondo del lavoro, che vanno responsabilizzati.

Insegnanti: arrivare rapidamente al nuovo contratto che riveda anche l’orario di lavoro (anche prevedendo situazioni diverse, in base alle diverse responsabilità che un docente vuole assumere); privilegiare la selezione in ingresso (conoscenze, competenze e attitudini) rispetto alla “premialità estemporanea”; creare una carriera per i docenti; aggiornamento qualificato.

Intorno a queste priorità, si possono aggiungere mille altre cose, ma che non rappresentano il cuore dei problemi aperti.

La Buona scuola, il PD e il confronto. E settembre alle porte.

La Buona scuola, il PD e il confronto.
E la scuola vera che, a settembre, riprenderà.

Quando due soggetti aprono un confronto (non un conflitto), è necessario verificare la simmetria dei soggetti medesimi, per non farsi illusioni sulla qualità del confronto.

Nel caso della Buona scuola, i soggetti sono vari:
1. il Governo (male rappresentato dalla Ministra Giannini e dal sottosegretario Faraone),
2. il Pd (confuso e diviso in fazioni pregiudizialmente avverse, pronte al ricatto reciproco),
3. i partiti di opposizione (pregiudizialmente contrari, in gara per spararla più grossa, in modo da farsi notare, visto che idee praticabili e innovative non ne hanno),
4. i Sindacati (molti, con prospettive talvolta inconciliabili),
5. e, ultima, la platea indistinta di docenti e studenti (solo marginalmente i genitori, che magari sono gli stessi che troviamo tra i docenti, i sindacati e i politici).

Questi soggetti, però, hanno competenze e obiettivi diversi:
1. il governo deve decidere ed attuare politiche (tenendo conto, possibilmente, dell’interesse generale),
2. il Pd deve sostenere il governo (senza perdere le fazioni interne e gli elettori),
3. i partiti di opposizione devono salvaguardare il loro ruolo oppositorio (e perciò devono ostacolare il governo e indebolire il PD),
4. i sindacati devono salvaguardare la loro funzione (per questo garantiscono, strumentalmente, solo i precari),
5. gli studenti fanno quello che hanno sempre fatto a 18 anni (giocano alla rivoluzione, spalleggiati da adulti in cerca dell’adolescenza perduta)
6. e i docenti (ma vorrei sapere quanti, in percentuale), si stracciano le vesti nella difesa passatista di una scuola ingiusta e di professione dequalificata e svalutata.

Questi sono i soggetti che dovrebbero confrontarsi.

E’ evidente, però, che confrontarsi non significa ascoltare e piegarsi alla volontà di una parte, ma proporre e ascoltare idee e argomentazioni, dopodiché chi ne ha la competenza – e, in un sistema rappresentativo quale quello italiano, parliamo del Parlamento, del Governo e dei Partiti che hanno chiesto e preso i voti – opera un sintesi che avrà il suo baricentro sulle proposte della maggioranza parlamentare e del governo, ma che raccoglierà anche le idee nate dal confronto.

Certo che se una delle parti (sindacati, opposizioni, studenti organizzati) chiede il ritiro del ddl, non può esservi mediazione, ma solo capitolazione.
E questo volevano le minoranze interne del Pd, i partiti di opposizione e i sindacati: la capitolazione del Governo e di Renzi.

La capitolazione non c’è stata, ed è stato un bene, a mio avviso; ma adesso la storia continua e il Ddl diventerà una legge molto carente criticabile, che avrà necessità di essere profondamente migliorata.
Per questo motivo è bene che Renzi metta fuori gioco sia chi ha svolto con impegno il suo lavoro in un momento difficile (Puglisi), sia chi ha contribuito ad accendere gli animi dimostrando una scarsa conoscenza del sistema scolastico (Faraone).

A settembre, la Vera scuola non può avviarsi nel caos, e molti non aspettano che quello e nel caos sperano di trovare un senso alla loro esistenza (e alla loro Organizzazione).

Perché leggere I promessi sposi a scuola. 1

I promessi sposi a scuola. Perché Sì.

Prima parte

Non dirò nulla di nuovo, lo so e non ho questa pretesa; del resto continuo a rimanere un ammiratore di Francesco De Sanctis, convinto che periodicamente sia necessario “tornare al De Sanctis”, ovviamente nel senso che Gramsci dava a questa espressione; e quindi mi calo nella parte “tradizionale” del conservatore anche se, coi tempi che corrono, i confini tra conservazione e riformismo diventano molto labili.

Come si sa, sono molti i modi per incontrare e approfondire un’opera letteraria; e questi modi possono

Don Abbondio

Don Abbondio

essere proposti agli studenti, ma non è detto che essi li apprezzino; in verità, potrebbero non apprezzarne alcuno (ma se accettiamo e ci adattiamo a quest’ipotesi, allora torna valido il paradosso di Beniamino Placido: per le masse della società contemporanea – contemporanea a Beniamino -, l’unico libro utile è l’elenco telefonico; oggi, neanche quello).

Le motivazioni per cui i giovani possono/devono incontrare e apprezzare un testo letterario “importante” non sono intrinseche al testo medesimo, ma rispondono ad altre logiche:

  1. Curiosità e interesse per la vicenda narrata, che suscita piacere e divertimento;
  2. Coinvolgimento personale (emotivo, affettivo, ideologico ecc.) nelle vicende narrate;
  3. Volontà e/o possibilità di approfondire alcuni aspetti della storia collettiva e del suo rapporto con la storia individuale.

Se non teniamo conto di queste premesse, è evidente che anche una grande opera letteraria può risultare noiosa e fastidiosa, con conseguente allontanamento del giovane dalla lettura.

D’altro canto, non può essere “il piacere” l’unica motivazione cui aggrapparsi.

E poi uno si chiede perché odiano I promessi sposi...

E poi uno si chiede perché odiano I promessi sposi…

Secondo me, in ogni caso, è evidente che puntando sull’aspetto narratologico del testo letterario (e restiamo su I promessi sposi) rischiamo di annoiare i nostri interlocutori (gli studenti), e portarli al rifiuto di un testo così impegnativo, per raggiungere – ma non è detto – obiettivi (appunto di carattere narratologico) più facilmente raggiungibili con testi contemporanei e meno complessi dell’opera manzoniana.

La lettura dei Promessi sposi, invece, può essere utilizzata come punto di partenza-pretesto per raggiungere altri obiettivi, tra i quali evidenzierei:

  1. la conoscenza di una delle opere fondamentali della letteratura italiana; ovviamente  gli studenti dovranno capire perché “I promessi sposi” è una delle opere fondamentali della letteratura italiana (e questo tema – ammesso che sia chiaro a noi – potrà essere ripreso nel triennio, se prima abbiamo fatto con gli studenti un certo tipo di lavoro, sennò agli occhi degli studenti sembreranno parole ispirate, ma volatili, di un vecchio professore).

Questo obiettivo può essere raggiunto con i tempi e gli sviluppi necessari anche nel biennio della scuola superiore (anche solo nella seconda classe, a conclusione dell’obbligo scolastico); infatti, nel triennio (a conclusione della classe quarta) non vi è il tempo per andare a fondo delle varie problematiche, e quindi sarà necessario e possibile recuperare ciò che è stato fatto negli anni precedenti (se è stato fatto);

  1. la conoscenza, anche attraverso le opere letterarie, dei nodi e delle caratteristiche essenziali della storia italiana. Le attività per raggiungere questo obiettivo, come si vedrà, possono essere svolte in parallelo con l’educazione civica (allora la programmazione per competenze assumerà un carattere diverso, e saprà meno di didattichese – e di burocratese, al momento delle certificazioni-).
  2. la verifica che le grandi opere di ogni tempo parlano a ciascuno di noi e rivelano una parte della storia nostra e della storia della nazione. Questo obiettivo si raggiunge anche semplicemente inseguendo i primi due.

Visti gli obiettivi (e poiché non mi pare opportuno impostare uno studio narratologico e linguistico: infatti non si impara a leggere e a scrivere in italiano, oggi, leggendo I promessi sposi; o, quanto meno, vi sono testi più utili e adeguati), bisogna avere il coraggio di intervenire sull’opera con scelte e tagli drastici, perché è evidente che:

  1. non si può far leggere il romanzo integrale,
  2. non si possono far leggere i primi dieci capitoli e poi darne altri cinque da leggere a casa (durante le vacanze di Natale, di Pasqua ed estive); come si sa, esiste il paradosso di molti studenti che sono stati obbligati a leggere i primi dieci capitoli (in parte a scuola, in parte a casa; con relativi riassunti, commenti, sequenze, personaggi e loro funzioni, tempi, fabule, intrecci ecc. ecc.) e non sanno come si concluda la vicenda di Renzo e Lucia e che fine facciano Don Abbondio e Don Rodrigo. Poi uno si chiede perché odiano I promessi sposi…

Riprendendo il discorso, per raggiungere gli obiettivi che ci siamo proposti bisogna scegliere pagine altamente significative e, nei casi necessari, bisogna “violentare” lo stile manzoniano per consentire a tutti gli studenti di superare i passaggi stilistici più ostici (ci sono studenti di tanti tipi, non tutti da liceo classico).

Continua…

Come cambia la scuola, se cambia?

La scuola, Luigi Berlinguer e il PD.

(Guarda il video)

E L’ADI (www.adiscuola.it).

Interessante intervento di Luigi Berlinguer a un convegno del PD.
In sintesi, ecco cos’ha detto:
1. bisogna cambiare l’impianto educativo, basato sostanzialmente sulla “trasmissione” del sapere, una delle cause della dispersione scolastica;
2. valorizzare l’autonomia scolastica;
3. superare l’orario settimanale delle lezioni;
4. superare il gruppo classe e l’aula; mobilità e flessibilità;
5. favorire l’approccio laboratoriale e superare la frontalità;
6. sviluppare una didattica per competenze e reimpostare gli esami, oggi su base solo disciplinaristica; iperdisciplinarismo e didattica delle competenze non sono compatibili;
7. personalizzare l’insegnamento;
8. puntare sull’orientamento;
9. avviare il sistema duale, valorizzando la cultura del lavoro, penalizzata dalla nostra cultura gentiliana;
10. Opzionalità: gli studenti devono poter scegliere una parte del curricolo;
11. Italiano L2 per gli stranieri;
12. modificare la normativa troppo rigida sulla responsabilità dei docenti;
13. reclutamento: i docenti devono essere preparati e aperti all’innovazione; valorizzare chi in questi anni ha innovato, pur nel rigido sistema attuale;
14. abrogare gli ostacoli normativi che esistono.

A Luigi Berlinguer e al PD queste affermazioni sembrano dirompenti, mentre noi dell’Adi su questi argomenti organizziamo ogni anno (da anni) un seminario internazionale (a fine febbraio) e un seminario estivo; quindi sono questioni che abbiamo approfondito con lo sguardo rivolto al mondo.

Bene, quindi, se la direzione è questa, con ciò che ne consegue (se non vogliamo che siano chiacchiere).
Ma è poi vero che la “Buona scuola” va in questa direzione?

La scuola di Renzi: altri materiali di approfondimento.

La scuola di Renzi: materiali di critica e approfondimento.

Andrea Ichino, La nuova scuola targata Renzi (lavoce.info)

Michele Pellizzari, Due ostacoli sul cammino verso una buona scuola (lavoce.info)

Paolo Ferratini, Più coraggio sull’autonomia della scuola (Corriere della sera)

Alex Corlazzoli, Riforma della scuola: ecco la pagella, punto per punto (Il fatto quotidiano)

Giorgio Simonelli, Scuola: non una riforma, tutt’al più una magia! (Il fatto quotidiano)

Il piano del governo sulla scuola: materiali.

Il piano del governo per la scuola.

Materiali utili per l’approfondimento

Paolo Ferratini (Corriere del 5 settembre)
Assunzioni in massa e il rischio dei docenti poco e male utilizzati.

Prove Invalsi e proteste di rito.

La scuola italiana che ha paura
di farsi valutare

Gianna Fregonara, sul Corriere di oggi 7 maggio.

“Il copione di ieri (le proteste da copione) però non aveva previsto la novità: secondo i dati diffusi dal ministero, ormai 7 scuole su dieci usano i risultati delle prove dei propri ragazzi (che vengono restituiti agli insegnanti a settembre ogni anno) per valutare internamente la propria didattica ed eventualmente prendere i provvedimenti del caso. A quattro anni dall’introduzione a regime della valutazione dunque la maggioranza delle scuole pubbliche italiane «ha imparato» a usare in modo pragmatico questo strumento che resta ancora molto contestato”

 

Ripensare la scuola dell’obbligo.

Ripensare la “scuola dell’obbligo,

per non “obbligare (condannare) molti giovani alla dispersione.

“L’Italia occupa il quartultimo posto in Europa per dispersione scolastica (fonte ministero dell’Istruzione, 2013), il 17,6% dei giovani tra i 18 e i 24 anni può contare sulla licenza media come unica arma per affrontare il suo destino. Ma c’è un altro dato, tragico, che riguarda coloro che si perdono dopo la soglia di quella elementare: lo 0,2% degli iscritti, infatti, abbandona le medie.”

L’abbandono scolastico, in Italia, è una realtà vergognosa, che ci mette in fondo alla classifica europea; ma non c’è solo l’abbandono a colpire i giovani più deboli, ci sono anche le bocciature.

Ci sono ragazzi “obbligati” ad andare a scuola (un “obbligo” concepito in chiave democratica, per dare loro una cultura “minima”) e poi ripetutamente bocciati, finché raggiungono l’età in cui “l’obbligo” può considerarsi adempiuto: ma in questo modo “l’obbligo democratico” diventa un “obbligo autoritario“: non liberatorio, ma carcerario.

E, in effetti, per molti studenti la scuola diventa una galera punitiva, invece che un luogo educativo e premiante.

Da queste premesse nasce l’articolo di Silvia Avallone (Contro l’abbandono scolastico vale tutto, La lettura del Corriere) che impone la necessità di ripensare non tanto l’obbligo in sé, ma le caratteristiche della didattica e del curricolo nella scuola dell’obbligo, che basandosi oggi su una pretesa egualitaria, tratta allo stesso modo giovani che sono molto diversi per caratteristiche psicologiche, per modalità di apprendimento, interessi e abilità.

E, come si sa, trattare persone diverse allo stesso modo è il modo migliore per creare ingiustizie.

Ecco perché bisogna ripensare le modalità di espletamento dell’obbligo scolastico.

Paradossalmente, invece, la sinistra e il sindacato pensano di migliorare la scuola aumentando il numero di materie da studiare e il numero di ore di lezione.