Razzismo a Vicenza? I numeri del problema.

La stampa.it

La carica dei presidi del sud. L’emendamento risale al governo Prodi.

Da settembre nelle scuole italiane 647 nuovi dirigenti. Tutti meridionali.

Flavia Amabile

Sono 647 i nuovi presidi che inizieranno a lavorare nelle scuole da settembre. Un bel numero, non c’è che dire: da tempo non c’era un ingresso di queste dimensioni.

E, però, se si va a guardare la tabella degli idonei pubblicata sul sito dell’Associazione nazionale presidi, è facile capire i motivi del mal di pancia della Lega.

Gli idonei sono per metà campani, 346. Altri 91 sono calabresi, 135 i siciliani e 147 i pugliesi. Fatte le dovute somme, ci si rende conto che la quasi totalità degli idonei a cui si farà riferimento per la scelta dei dirigenti è meridionale. E, invece, in almeno 12 regioni non esistono dirigenti ancora in graduatoria da sistemare. A questo va aggiunto che in alcune regioni, come Sicilia o Puglia, almeno 6 su 10 dei dirigenti ha conquistato l’idoneità vincendo un concorso non ordinario ma riservato che in molti casi prevede il semplice superamento di una prova d’ingresso per un corso di formazione. In molti altri casi l’idoneità la si è conquistata vincendo un ricorso.

Da settembre quindi ci sarà una distribuzione a pioggia di presidi meridionali che cascherà un po’ su tutte le scuole d’Italia ma soprattutto al nord dove i posti vacanti sono in maggior numero. Ed è per questo che a Vicenza due settimane fa con una mozione bipartisan hanno intimato l’alt all’arrivo di dirigenti del Sud.

Sotto accusa c’è innanzitutto un concorso bandito nel 2004: numero di posti assegnato a ciascuna regione, e un 10% in aggiunta di idonei da lasciare in lista d’attesa. Ma qualcuno al Sud ci avrebbe provato, mettendo in lista più concorrenti: che ora sarebbero tutti da sistemare. Al nord, invece, hanno inserito nelle graduatorie di merito soltanto il numero di dirigenti previsto dal concorso bandito. E poi ci sono le sanatorie decise dal governo Prodi. La prima è stata inserita nella Finanziaria 2007, la seconda in un emendamento al decreto milleproroghe del febbraio 2008. In due colpi si faceva cadere il limite del 10% di idonei che potevano essere aggiunti alle liste, e quindi si dava via libera alle irregolarità delle regioni che avevano ‘sforato’ i tetti previsti. Si eliminavano le barriere poste alla immissione in ruolo di dirigenti anche in regioni diverse da quelle dove erano stati banditi i concorsi. E, infine, si decideva che le graduatorie dovevano essere a esaurimento e, dunque, entravano i dirigenti fino ad aver terminato i nomi presenti in graduatoria.

E’ stato questo il meccanismo che ha portato alla mozione bipartisan di Vicenza e a un malcontento in molte regioni del nord.

Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, non usa toni accesi ma parla anche con chiarezza: «Le norme vanno rispettate. In questo caso si è verificato un concorso di circostanze che ha modificato in corso d’opera le norme che regolavano l’espeltamento dei concorsi. Purtroppo in Italia le selezioni possono durare anche 3 0 4 anni ma c’è da augurarsi che non accada mai più che le regole vengano cambiate mentre un concorso è ancora in svolgimento, per rispondere alle pressioni di lobbies appartenenti a schieramenti politici di ogni colore».

No ai tagli, ma la strada è giusta.

Corriere.it

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Il meridione, la scuola, il merito, le furbate e le sanatorie.

No ai presidi meridionali che non hanno vinto il concorso.

Razzismo? No, solo giustizia, contro le furbate, le sanatorie e l’assistenzialismo. E per le pari opportunità regionali

Da La Repubblica

“Per comprendere la questione occorre fare un passo indietro. Nel 2004, dopo quasi un decennio, venne bandito il concorso per dirigente scolastico, gestito a livello locale. Il bando assegnava ad ogni regione un certo numero di posti disponibili e alla fine della complessa procedura gli idonei potevano superare il numero dei posti messi a concorso al massimo del 10 per cento.

Ma in alcune regioni le cose andarono diversamente. “In Campania, per esempio, gli idonei furono parecchi di più di quello che prevedeva il bando”, continua la Martini. Stesso discorso in Sicilia e in altre regioni meridionali, dove si scatenò una guerra di carte bollate. E quando il governo Prodi consentì agli idonei la cosiddetta mobilità interregionale, in 6 regioni settentrionali (Lombardia, Piemonte, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Veneto ed Emilia Romagna) su 118 poltrone disponibili vennero nominati ben 108 neodirigenti provenienti dal Sud.

Rischiano ora di andare ad altrettanti presidi meridionali anche i 647 posti autorizzati qualche giorno fa dal ministero dell’Economia per il 2009/2010. Perché le uniche regioni italiane in cui sono ancora presenti idonei nelle graduatorie dei concorsi per dirigente scolastico – per un totale di circa 660 candidati – sono Lazio, Marche, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna. Nelle restanti regioni le liste sono esaurite da tempo. E a settembre quasi tutti i posti lasciati liberi da coloro che sono andati in pensione andranno a dirigenti scolastici del Sud.  “Nel Veneto – spiega l’assessore Martini – ci sono circa 70 posti liberi da coprire, ma nessuna graduatoria regionale da cui attingere. Ci sono invece tanti dirigenti in lista di altre regioni d’Italia, non perché altrove siano più disponibili e bravi che da noi, ma perché noi siamo stati ligi alla normativa mentre altri – continua – hanno creato liste di disponibilità pari, talvolta, anche al doppio dei posti da occupare”. E la probabilità che le 70 poltrone libere del Veneto vengano occupate da meridionali è altissima. Eventualità che non va proprio giù ai vicentini. “Il Consiglio provinciale ha voluto denunciare il mancato rispetto della norma da parte di alcune regioni ed evidenziare la conseguente situazione di svantaggio in cui si trova la regione Veneto rispetto ad altre realtà nazionali.”

 Considerazioni:

1. Il problema non è quello del rifiuto dei docenti meridionali come Presidi, ma di quelli che “non hanno vinto” il concorso in alcune regioni meridionali, e si ritrovano con un posto in Veneto in virtù di una furbata, mentre i veneti (essendo stata rispettata la norma) il posto se lo sognano.

Non si chiede altro che di avere le stesse opportunità. Perché nessuno ha protestato fino ad oggi? Evidentemente perché tutto è stato giocato dalla politica in modo bipartisan, cioè con un accordo destra-sinistra; e possiamo essere certi che il sindacato non era all’oscuro, anzi era d’accordo. In ogni caso, non mi risulta che la CGIL abbia organizzato grandi proteste per il rispetto della normativa prevista e per le pari opportunità regionali.

2. Sono anni che la gestione del personale scolastico avviene tramite sanatorie: è ora di finirla. Ma un conto è dirlo, un conto è farlo: e il sindacato e la sinistra non danno alcun affidamento (esattamente come la destra). E’ interessante, infatti, che dopo avere a lungo blaterato di “merito e qualità”, al primo richiamo della foresta sia riemerso l’assistenzialismo, con la relativa accusa di razzista a chi dice la verità (la verità sull’argomento in questione, intendo).

3. Tutto ciò, alla fine, spinge ancor di più per una regionalizzazione della scuola e del personale scolastico (per altro già prevista dalla Costituzione). Che non significa che in Calabria saranno tutti calabresi e in Veneto tutti veneti, ma che ogni regione deciderà quanti posti mettere a concorso, e se li gestirà, garantendo ovviamente il diritto dei calabresi di partecipare al concorso del veneto. Con l’obiettivo di ottimizzare gli investimenti. Che è quello che doveva succedere anche questa volta.

4. Razzismo? Poiché non si vuole capire la realtà dei fatti, si aggira il merito della questione e si pass all’accusa di razzismo. Ma se le norme fossero state rispettate in tutta Italia, non ci sarebbe stato motivo per queste polemiche, questa è la verità;

5. ed è evidente che se non ci fosse stato l’odg del consiglio provinciale di Vicenza, la questione sarebbe stata coperta dall’accordo assistenzialistico e parassitario di fatto raggiunto tra destra, sinistra e sindacato.

Soluzioni?

La regionalizzazione della scuola e del personale, è l’unica soluzione possibile, e da qualche anno prevista dalla Costituzione repubblicana.

Così ogni regione bandisce i concorsi e se li gestisce e si gestisce il personale, per cui un calabrese può fare il concorso nel Veneto, ovviamente, e diventa operatore (come docente o dirigente) della scuola veneta e dipendente della regione Veneto; ed è possibile anche studiare modalità di selezione-assunzione da parte delle singole scuole o dei Comuni. Ci sono molte possibilità, l’importante è sottrarre il personale della scuola alla gestione politico-sindacale, per trasformare l’attività dei docenti e dei dirigenti in attività professionali, non impiegatizie.

La professione docente deve liberarsi di due luoghi comuni: il docente-missionario e il docente-nullafacente.

Il docente deve essere un professionista, selezionato, valutato, responsabilizzato e ben retribuito.

Le Bocciature? Soprattutto uno spreco.

Le bocciature a scuola?

Uno spreco assurdo, in una scuola che (a destra e a sinistra) pensa di rinnovarsi rispolverando il Novecento.

I dati pubblicati dal Ministero della Pubblica Istruzione sottolineano come siano aumentate le bocciature, le non ammissioni all’esame e le sospensioni del giudizio. Questi risultati sono stati comunicati con particolare soddisfazione dal Ministro Gelmini, convinta di poter dimostrare una ritrovata serietà della scuola.

E che la scuola italiana debba ritrovare serietà è un dato certo, confermato da tutte le ricerche internazionali, anche se sarebbe sbagliato non fare le opportune distinzioni tra la scuola del Nord e quella del Sud, tra l’istruzione professionale e quella liceale, e infine tra la scuola primaria e quella secondaria. In effetti viviamo in un Paese che in tanti anni di “scuola democratica” si è trovato con un sistema ingiusto e disomogeneo, che illude i deboli e penalizza i bravi, e che ha pensato soprattutto al numero di docenti e non docenti.

Resta da capire se l’aumento delle bocciature sia un sintomo della serietà della scuola o della sua inefficienza.

Poiché le bocciature sembrano particolarmente apprezzate dall’opinione pubblica, innanzitutto è bene precisare che l’aumento delle bocciature tecnicamente non viene definito “premio al merito”, ma “aumento della dispersione scolastica”; e se è vero che in fatto di dispersione l’Italia è già in testa alle graduatorie europee, ciò significa che siamo di fronte ad un ulteriore “fallimento” della scuola: siamo in controtendenza rispetto agli obiettivi che l’Europa si è assegnata.

Una scuola è di buona qualità quando prepara bene i giovani ad essere cittadini e lavoratori consapevoli, non quando li boccia. Pertanto di fronte all’aumento delle bocciature, c’è poco da stare allegri: dovremmo chiederci come migliorare una scuola che boccia sempre di più… non farcene un vanto!

E il prossimo anno capiterà anche di peggio, poiché il Ministro ha previsto di non ammettere all’esame di Stato chi ha un cinque in pagella, con la conseguenza che ci troveremo di fronte alla strage dei non ammessi, o alla necessità di “falsificare” i voti per non fare un’ecatombe. Ed è certo che si sceglierà la seconda strada, alla faccia della serietà berlusconiana; del resto quest’anno è successo lo stesso: con il voto di condotta conteggiato nella media, sono stati ammessi agli esami studenti con due o tre gravi insufficienze; il prossimo anno molte di queste insufficienze diventeranno delle sufficienze.

Oltre tutto la maggior parte delle bocciature costituisce uno spreco di denaro pubblico.

In effetti, è assurdo che uno studente insufficiente in due o tre materie debba ripetere l’anno anche nelle materie in cui ha preso la sufficienza (e spesso molto più della sufficienza). Non basterebbe fargli ripetere l’anno nelle materie insufficienti? Ed eventualmente portarlo al diploma con una o due insufficienze?

Qualcuno si scandalizzerà, a sentire questa ipotesi, ma bisogna tenere conto del fatto che le valutazioni espresse dalla scuola italiana (anche all’Esame di Stato) sono in larga parte inattendibili sia per la mancanza di un sistema di valutazione omogeneo, sia per le modalità stesse di organizzazione delle prove; non a caso le Università e le aziende non si fidano del voto di maturità.

Infine: è più educativo e più trasparente promuovere con due “cinque” evidenti, piuttosto che con due “sei” fasulli. Certo, bisogna ridiscutere l’Esame di Stato, magari per eliminarlo, insieme al valore legale dei titolo di studio. Insomma, bisognerebbe accettare il fatto che non si può pensare ad una riforma della scuola con le idee del secolo scorso. Al contrario, c’è la necessità di ripensare seriamente i percorsi formativi e introdurre veri e aggiornati sistemi di valutazione: degli studenti, dei docenti e degli istituti.

E non mancano i modelli, in Europa e nel mondo.

La bocciatura? Certo non è un sinonimo di serietà della scuola, piuttosto lo definirei un esempio di sperpero della risorse: il costo della demogogia.