Liturgie del nuovo anno.

Il nuovo anno scolastico e la protesta rituale.

Liturgie scolastiche.

Liturgie scolastiche.

Il nuovo anno scolastico comincia regolarmente: annunci di proteste, scioperi e boicottaggi.
E finirà come sempre, con una sconfitta degli insegnanti e la gioia dei promotori delle proteste (che minacceranno proteste sempre più straordinarie).

Gli studenti, dal canto loro, si comporteranno così:
– una parte minoritaria aderirà rumorosamente alle proteste (generalmente conservatrici, ma con l’accordo di alcuni insegnanti e dei sindacati), e crederà di essere maggioranza (e, forse peggio, crederà anche di essere nel giusto);
– finita la scuola, però, la parte maggioritaria della minoranza rumorosa e protestataria, ripenserà criticamente e ironicamente alle proteste scolastiche, e guarderà con bonaria sufficienza gli studenti che continueranno (ad ogni inizio di anno scolastico) a protestare.

E’ la liturgia – sempre uguale – delle proteste scolastiche.
Chissà che non sia il caso di cambiare qualcosa.

Come cambia la scuola, se cambia?

La scuola, Luigi Berlinguer e il PD.

(Guarda il video)

E L’ADI (www.adiscuola.it).

Interessante intervento di Luigi Berlinguer a un convegno del PD.
In sintesi, ecco cos’ha detto:
1. bisogna cambiare l’impianto educativo, basato sostanzialmente sulla “trasmissione” del sapere, una delle cause della dispersione scolastica;
2. valorizzare l’autonomia scolastica;
3. superare l’orario settimanale delle lezioni;
4. superare il gruppo classe e l’aula; mobilità e flessibilità;
5. favorire l’approccio laboratoriale e superare la frontalità;
6. sviluppare una didattica per competenze e reimpostare gli esami, oggi su base solo disciplinaristica; iperdisciplinarismo e didattica delle competenze non sono compatibili;
7. personalizzare l’insegnamento;
8. puntare sull’orientamento;
9. avviare il sistema duale, valorizzando la cultura del lavoro, penalizzata dalla nostra cultura gentiliana;
10. Opzionalità: gli studenti devono poter scegliere una parte del curricolo;
11. Italiano L2 per gli stranieri;
12. modificare la normativa troppo rigida sulla responsabilità dei docenti;
13. reclutamento: i docenti devono essere preparati e aperti all’innovazione; valorizzare chi in questi anni ha innovato, pur nel rigido sistema attuale;
14. abrogare gli ostacoli normativi che esistono.

A Luigi Berlinguer e al PD queste affermazioni sembrano dirompenti, mentre noi dell’Adi su questi argomenti organizziamo ogni anno (da anni) un seminario internazionale (a fine febbraio) e un seminario estivo; quindi sono questioni che abbiamo approfondito con lo sguardo rivolto al mondo.

Bene, quindi, se la direzione è questa, con ciò che ne consegue (se non vogliamo che siano chiacchiere).
Ma è poi vero che la “Buona scuola” va in questa direzione?

La scuola italiana, le valutazioni, il merito e la falsa democrazia.

La scuola italiana e l’arbitrio delle valutazioni.

La scuola del Sud è prima per numero di diplomati con 100/100, ma ultima alle prove Invalsi; quella del Nord è prima alle prove Invalsi, ma ultima nel numero di diplomati con 100/100.

Sono sbagliate le prove Invalsi? Di certo i rusultati delle prove Invalsi sono in linea con quelli delle prove Ocse-Pisa. Qualcosa vorrà pur dire.

Adesso è evidente perché la parte più ideologizzata della scuola (di destra e di sinistra) rifiuta e boicotta le prove oggettive comparative: i confronti fanno paura.
Meglio fare gli egualitari e i democratici (a parole, ovviamente).

P.S.: Le prove oggettive comparative non sono la salvezza della scuola; sono solo uno strumento (non l’unico) di verifica dei risultati.

Per esaminare il dossier, vai al sito:

http://www.tuttoscuola.com/cgi-local/disp.cgi?ID=30043

La scuola e le elezioni: i programmi di “Fermare il declino”

Il Programma di Fermare il declino, di Oscar Giannino

 

Ridare alla scuola e all’università il ruolo, perso da tempo, di volani dell’emancipazione socio-economica delle nuove generazioni. Non si tratta di spendere di meno, occorre anzi trovare le risorse per spendere di più in educazione e ricerca. Però, prima di aggiungere benzina nel motore di una macchina che non funziona, occorre farla funzionare bene. Questo significa spendere meglio e più efficacemente le risorse già disponibili. Vanno pertanto introdotti cambiamenti sistemici: la concorrenza fra istituzioni scolastiche e la selezione meritocratica di docenti e studenti devono trasformarsi nelle linee guida di un rinnovato sistema educativo.Va abolito il valore legale del titolo di studio.

Scuola ed elezioni: parliamo di programmi.

Cominciamo dall’inizio

Bersani, Renzi e Vendola: il programma sulla scuola dei candidati alle primarie del PD

Scritto da Alessia Gervasi  

http://www.propostalavoro.com/rubriche/scuola-e-dintorni/bersani-renzi-e-vendola-il-programma-sulla-scuola-dei-candidati-alle-primarie-del-pd

Il mondo della scuola e dell’istruzione, così come il corpo docente, vivono ormai da anni un periodo di confusione e incertezza. Gli ultimi ministri che si sono succeduti non hanno fatto che smantellare le regole preesistenti senza risolvere di fatto i problemi strutturali della scuola italiana. Per ultimo il ministro Profumo, ha cercato di imprimere un’accellerata rispetto ai suoi predecessori, avviando un Tfa ricco di polemiche ed un concorso che ha generato speranze ma soprattutto malcontento tra giovani aspiranti docenti e precari storici. Ne approfittiamo dell’imminenza delle elezioni alle primarie del partito democratico, che si svolgeranno domenica 25 novembre, per illustrare i programmi dei candidati sul mondo della scuola. Sperando che esso non costituisca solo un facile slogan elettorale quanto soprattutto un tema in cima all’agenda dei nostri politici supportato da un programma concreto e che tenga conto delle difficoltà strutturali che hanno ingarbugliato il sistema per anni.

Argomento molto sentito dal candidato Matteo Renzi, quello della scuola, sembra aver puntato proprio su questo per far breccia nell’elettorato di sinistra e non solo. Nel programma di Renzi infatti viene dato all’istruzione un ruolo di primo piano per far ripartire il nostro paese puntando proprio al merito nella scuola. Ma vediamo nel dettaglio come Renzi intenda perseguire questo obiettivo:

1. Forte investimento sulla scuola e, in particolare, sulla formazione e l’incentivazione degli insegnanti, sull’edilizia scolastica e sull’upgrade tecnologico della didattica;

2. Valutazione degli istituti scolastici attraverso il completamento e il rafforzamento del nuovo Sistema di Valutazione centrato sull’azione di Invalsi e Indire, con la prospettiva di avvicinare gradualmente il nostro modello a quello britannico centrato sull’azione della Ofsted;

3. Incentivi ai dirigenti scolastici basati sulla valutazione della performance delle strutture loro affidate;

4. Revisione complessiva delle procedure di selezione e assunzione dei docenti, basata sulle competenze specifiche e sull’effettiva capacità di insegnare;

5. Formazione in servizio per gli insegnanti obbligatoria e certificata, i cui esiti devono contribuire alla valutazione dei docenti e alle progressioni di carriera, basata su un mix di: aggiornamento disciplinare, progettazione di percorsi con altri colleghi, aggiornamento sull’uso delle nuove tecnologie per la didattica, incontri con psicologi dell’età evolutiva o con medici per capire come affrontare handicap o disturbi di apprendimento sui quali la scienza ha fatto progressi.

6. Valutazione e incentivazione degli insegnanti, attivando in ciascun istituto scolastico un meccanismo finalizzato all’attribuzione di un premio economico annuale agli insegnanti migliori, scelti da un comitato composto dal preside, da due insegnanti eletti dagli altri (cui andrà il 50% del premio e che non potranno ovviamente essere selezionati per il premio intero) e da un rappresentante delle famiglie eletto dalle stesse, sulla scorta del progetto pilota “Valorizza”, già sperimentato in quattro province nel corso del 2010-2011.

Punta sulla scuola anche Niki Vendola il quale afferma che: “l’Italia necessita di una battaglia culturale e di una rivoluzione copernicana, rispetto ai concetti di cultura e conoscenza, che sono oggi marginali nella società e nel mondo del lavoro” Il suo programma sulla scuola è illustrato all’interno di un testo scaricabile on line, nel capitolo “La scuola chiude la prigione”. Vediamone anche in questo caso i punti salienti:

1. Cancellare, la legge 133 del 2008, “la famigerata riforma Gelmini”.

2. Ripensare ad un modello di formazione che accompagni i cittadini per l’intero arco della vita e che garantisca pari opportunità per tutti

3. Garantire un insegnante di sostegno per ogni alunno con difficoltà

4. Riconoscere la multiculturalità come risorsa della nostra comunità

5. Innalzare l’obbligo scolastico fino ai 18 anni

6. Recuperare le ore sottratte dalla Gelmini alle superiori e prevedere l’unificazione dei cicli liceali e tecnico professionali

7. Realizzare un piano pluriennale di immissioni in ruolo, che porti a esaurire le attuali graduatorie e stabilire regole certe e durature per i nuovi percorsi abilitanti all’insegnamento.

Pierluigi Bersani pur non avendo ancora esposto un programma dettagliato sulla scuola, come i suoi concorrenti alle primarie Vendola e Renzi, ha dichiarato che invertirà la rotta sulla scuola e l’università rispetto a ciò che queste due istituzioni hanno vissuto in questi ultimi anni, afferma infatti che: “se c’è un settore per il quale è giusto che altri ambiti rinuncino a qualcosa, è quello della ricerca e della formazione. La scuola e le università italiane hanno vissuto quindici anni di continue umiliazioni”. Anche lui afferma come prioritario dover ripartire dagli insegnanti e dalla ricerca “umanistica” di base.

24 ore di lezione? Proposta ridicola.

L’assurda proposta di portare a 24 le ore di lezione dei docenti, non può essere contrastata solo in nome della situazione attuale.

Bisogna avere anche una visione prospettica della scuola (e non mancano le idee e le esperienze: ma in Italia prevale ancora il sindacalismo conservatore ed corporativo).

Interessante la riflessione dell’Adi.

Per il momento, per risparmiare qualcosa, basterebbe che tutti gli insegnanti facessero le ore di sessanta (60) minuti, o che recuperassero in “corsi di recupero e di sostegno” i minuti già pagati e non svolti.

Sarebbe non un risparmio che nasce dall’eliminazione di uno spreco.

Non è una grande cifra? No, ma nessuno potrebbe dire nulla. Perché non si comincia da qua?

La scuola tra restaurazione e finte riforme.

Registri elettronici, badge e tablet: finte riforme.

La scuola non si cambia con la burocrazia, ma con la responsabilizzazione:

autonomia e regionalizzazione.

 

La scuola continua ad essere sotto attacco: l’attacco concentrico del populismo “sindacal-sinistrese”e della tecnocrazia “capital-informatica”.

 

I sindacati e la vecchia sinistra hanno sempre ritenuto che la scuola dovesse caricarsi di ore di lezione, di materie insegnate, di insegnanti e di personale amministrativo. Questa impostazione ha creato molte degenerazioni e molte illusioni: innanzitutto l’illusione che la scuola potesse fornire posti di lavoro a prescindere dal numero di alunni e dalla sostenibilità reale – da parte dei giovani – del monte ore di lezione e del numero di materie insegnate.

E così: tante materie, tante ore di lezione (talmente tante che si è stati costretti a ridurne la durata a 50 minuti, con uno spreco enorme di risorse), tanti professori e tanto personale: senza che vi fosse un beneficio per la qualità media degli apprendimenti, soprattutto alle superiori, come dimostrato da tutte le indagini internazionali.

Al contrario, si è creato uno squilibrio enorme tra la scuola del Sud e quella del Nord e tra i diversi corsi di studio. Oltre tutto la scuola ha perso, a partire dagli anni Ottanta, la funzione di riequilibrio sociale svolta egregiamente, ed è divenuta fattore di cristallizzazione delle differenze sociali.

Non a caso, negli anni Novanta, i ministri Bassanini e Berlinguer, hanno cercato di mettere mano al degrado del sistema con l’Autonomia scolastica e il tentativo (sia pure sommario) di avviare una sistema di valutazione dell’attività dei docenti, trovando l’opposizione proprio dei sindacati e della sinistra.

Il governo Berlusconi, a sua volta, ha tentato di far passare per “riforma” alcuni tagli di bilancio (che hanno ridotto il già scarso finanziamento alla scuola), anche se è innegabile che alcune tipologie di interventi dovevano, prima o poi, essere fatti: ad esempio la revisione dei curricoli, del monte ore settimanale di lezione e delle centinaia di sperimentazioni, mai valutate seriamente.

Berlusconi e Gelmini, in sostanza, hanno messo in difficoltà la scuola con i tagli di bilancio, vanificando ciò che di necessario vi era in taluni interventi.

Ma la tanto vituperata riforma Gelmini, poteva essere un’occasione per il centrosinistra: l’occasione per costruire quella scuola moderna di cui ha bisogno il Paese; e invece la sinistra politica e il sindacato continuano a vagheggiare la scuola pre-Gelmini, cioè sognano un ritorno al passato.

 

Il Ministro Profumo, dal canto suo, esperto in annunci di riforma, sembra concentrarsi soprattutto sugli elementi burocratici: pagelle elettroniche, assenze elettroniche, comunicazioni tramite e-mail e avanti con le innovazioni.

Ma a mio avviso la scuola non ha bisogno, adesso, di questo. Ha bisogno di scelte strategiche, non pratiche.

 

Le scelte strategiche che oggi nessuno ha il coraggio di mettere in cantiere sono le seguenti:

  1. avviare il sistema di valutazione nazionale (degli apprendimenti, dei docenti, dei dirigenti, delle scuole e del sistema scolastico) e renderlo operativo ed efficace;
  2. far entrare nella scuola insegnanti giovani, mentre il concorso annunciato si avvia a “selezionare” insegnanti anziani;
  3. dare gambe all’autonomia degli Istituti scolastici, fino alla scelta dei docenti (selezionati tramite una normativa nazionale); ovviamente nel rispetto dei parametri del dimensionamento delle singole istituzioni, per evitare sprechi e creare sinergie;
  4. realizzare il Titolo V della Costituzione, secondo cui lo Stato deve deliberare su norme generali,  principi fondamentali e livelli essenziali delle prestazioni: il resto compete alle Regioni;
  5. incrementare il finanziamento agli istituti scolastici (per rinnovare ed incrementare le dotazioni anche informatiche);
  6. intervenire sull’edilizia scolastica;
  7. aumentare gli stipendi dei docenti.

 

Insomma: i problemi della scuola non possono essere identificati con quelli dei precari o con quelli del registro elettronico.

 

In realtà siamo molto indietro e il futuro non ci riserva nulla di buono, perché il ministro guarda alla tecnica, i sindacati guardano all’assunzione di personale e i partiti guardano al consenso che – come si sa –  nulla ha a che vedere con la qualità delle scelte; anzi, spesso va in direzione opposta.

Se si avviasse la logica della “spesa standard” anche per la scuola e le Regioni fossero responsabilizzate, forse qualcosa di nuovo potrebbe accadere.

Ma come è ormai chiaro, il cosiddetto “federalismo” è scomparso dall’agenda dei partiti politici, anche da quella dei partiti di centrosinistra, che hanno approvato la riforma federalista del Titolo V° della Costituzione.

Valutare gli Studenti, i Docenti, i Dirigenti, il Sistema scolastico.

AVANTI CON IL SISTEMA NAZIONALE DI VALUTAZIONEIl Consiglio dei Ministri approva lo schema di Regolamento del Sistema Nazionale di Valutazione.Adesso attenzione alla partita che giocheranno i partiti di governo e i sindacati.Per il PD, le linee guida del regolamento approvato dal CdM “sono ampiamente compatibili con quelle del PD, se non ad esso ispirate”.

Ma sostanzialmente il governo Monti sta realizzando ciò che era stato previsto dal governo precedente e dalla perfida Gelmini.

Ecco ciò che rende poco credibile il PD: appoggiare adesso ciò che ha rifiutato pochi mesi fa (chi ricorda Bersani sui tetti delle Università’).

Sempre secondo il PD, per renderlo operativo e realmente efficace servono anche una “ampia condivisione politica e sociale capace di sfatare i miti negativi e creare consenso attorno a un progetto di conoscenza e miglioramento della scuola”: giusto, ma a cosa servono i partiti, se non a creare il consenso? A patto che non siano zittiti dalle decisioni sindacali (sostanzialmente la CGIL, che sul sistema di valutazione ha sempre avuto una posizione quanto meno equivoca).

Aspettiamo il PD ad un impegno trasparente e pubblico per far passare nella società il SNV.

Il Pd avverte il governo: “la scelta del Governo di un ‘blitz’ fra il 9 e il 24 agosto senza adeguata consultazione e comunicazione né con i partiti che lo sostengono” è stata “imprudente”.

Insomma: con un piede nel governo, con un piede fuori.

C’è da piangere a pensare che questi vorrebbero governarci. Insieme a Vendola. O con Di Pietro. Sai che SNV……

I docenti: non più alle dipendenze dello Stato.

E’ questa la novità

I docenti: non più alle dipendenze dello Stato.

http://www.adiscuola.it/adiw_brevi/?p=7500

Da quando è stata approvata – con il sigillo di una ratifica referendaria – la riforma del Titolo V della Costituzione, si pone il problema del “datore di lavoro” dei docenti; oggi è lo Stato, ma nell’attuazione delle Regionalizzazione e dell’autonomia scolastica (elevata a rango di principio costituzionale) bisogna pensare ad un nuovo datore di lavoro: Regione, Comuni, Scuole autonome, Reti di scuole?

Questa deve essere la soluzione, nell’ambito di un processo di realizzazione del “federalismo fiscale”: alle Regioni le risorse per coprire le spese del sistema scolastico; così rimedieremo alle sperequazioni e agli sprechi (dimensionamento degli istituti scolastici, distribuzione dei docenti in rapporto agli studenti, distribuzione dei docenti di sostegno ecc.).

Ricordiamoci che – ai sensi del Titolo V della Costituzione – lo Stato deve provvedere solo alle norme generali, ai principi fondamentali (nella legislazione concorrente) e a definire i livelli essenziali delle prestazioni; la gestione passa alle Regioni, che dovrebbero provvedere anche all’istruzione professionale (che non dovrebbe più essere statale).

Il Prof. Carlo Marzuoli, ordinario di Diritto Amministrativo all’Università di Firenze – e collaboratore “storico” dell’Adi,Associazione Docenti italiani – interviene sul disegno di legge della Regione Lombardia, relativo al reclutamento dei docenti.

Secondo il prof. Marzuoli il tema del reclutamento dei docenti va affrontato in modo serio, per almeno due motivi:

  1. da oltre un decennio siamo in una  evidente condizione di inadempimento  costituzionale:  la non attuazione del Titolo V in materia di istruzione;
  2. nel frattempo lo Stato continua a dare prove negative nell’amministrazione, oggi ancora statale, del sistema scolastico.

“Ai  difetti di sempre si somma una profonda  contraddizione interna all’ordinamento vigente. Da un lato,  alcune norme, a cominciare dalla Costituzione (Titolo V),  vogliono  che gli apparati statali dell’istruzione abbiano esclusivamente  funzioni di governo, di studio,  di valutazione e di controllo nei confronti di un sistema fondato sull’autonomia delle regioni, degli enti territoriali, delle istituzioni scolastiche (e della dirigenza scolastica); da un altro lato, tantissime altre norme tengono invece inchiodata  detta amministrazione ad un assetto  a suo tempo costruito in base a una logica opposta. 

Le questioni da affrontare, con un’urgenza sempre maggiore, sono, a ben vedere,  una:  l’adeguamento dello statuto  giuridico del personale docente,  e della  conseguente disciplina del  reclutamento,  al sistema  delineato dal Titolo V

Non  vi sono  misteri da risolvere, né vi è  troppo da studiare o da inventare,  né  complesse indagini da effettuare.  Il personale docente deve  passare dallo stato alle regioni o agli istituti scolastici; il personale docente può essere selezionato e assunto  anche a livello di istituto scolastico o di reti di istituti.

A questo fine, però   (da  qui nascono  i molti problemi posti dalla disposizione in esame), è necessario  un quadro in cui vi siano poche norme, uniformi per l’intero sistema nazionale, in tema di garanzia della funzione docente, di valutazione dell’utile esercizio della funzione, di accesso alla funzione.

Il Decreto del governo e la scuola.

In Gazzetta ufficiale è stato pubblicato il testo del Decreto del governo; molto modificato rispetto alla bozza circolata in precedenza.
L’aspetto più deludente? Scompare l’organico funzionale.
Decreto legge n.5 del 9-02-12 Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo.
(Il testo degli articoli e un commento di Rosario Drago, su www.adiscuola.it)
I contenuti in sintesi:
Art. 50: entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, (…), linee guida per conseguire le seguenti finalità: 1. potenziare l’autonomia; 2. definire, per ciascuna istituzione scolastica, un organico dell’autonomia, funzionale all’ordinaria attività didattica, (…), alle esigenze di sviluppo delle eccellenze, di recupero, di integrazione e sostegno ai diversamente abili e (…); 3. costituire, (…), reti territoriali tra istituzioni scolastiche; 4. definire un organico di rete (…), nonché per l’integrazione degli alunni diversamente abili, la prevenzione dell’abbandono e il contrasto dell’insuccesso scolastico e formativo.
Ovviamente senza oneri o maggiori spese…
Art. 51: (…) Le istituzioni scolastiche partecipano, come attività ordinaria d’istituto, alle rilevazioni nazionali degli apprendimenti degli studenti, (…).
Art. 52: Misure di semplificazione e promozione dell’istruzione tecnico-professionale e degli istituti tecnici superiori – ITS (…).
Art. 53: Modernizzazione del patrimonio immobiliare scolastico (…).
Nel complesso ci sono varie norme positive (sistema di valutazione a regime, edilizia scolastica, organico di rete). C’è un passo indietro sull’organico funzionale (di istituto).
Ma questa è decretazione.
Adesso, passata la sbornia berlusconista e antiberlusconista, bisogna pensare al sistema scolastico in prospettiva. E dovrebbe essere più semplice, se è vero che la Gelmini ha fatto solo disastri.
Con una certezza preliminare: che non è la quantità della spesa, ma la sua qualità, a fare la qualità della scuola.

La Repubblica e Invalsi: senza Berlusconi….

La Repubblica e Invalsi:

come è cambiata la Repubblica del dopo Berlusconi!

Comincia ad andare bene ciò che prima faceva schifo.

Da Repubblica.it

Test Invalsi, entra il “valore aggiunto”
Risultati al netto dei “vantaggi sociali”

Il tono degli articoli di Repubblica sulle prove Invalsi era ben diverso quando c’era Berlusconi.

L’antiberlusconismo non ha fatto bene alla sinistra, anzi, l’ha messa fuori gioco.

La scuola da Gelmini (destra) a Profumo (tecnico) a ??? (sinistra).

Il Ministro della Pubblica Istruzione ha enunciato i suoi progetti; ancora generici, ma interessanti.

Adesso non ci sono più il Cavaliere e la Gelmini, meglio così, per la scuola; ma la sinistra e il sindacato non possono più scagliarsi impunemente contro il governo; al contrario devono dare voce ad un progetto per la scuola e l’università.

E questo progetto non può essere di semplice restaurazione, anche perché la scuola pre-Gelmini era tutt’altro che “buona e giusta”, ma era catterizzata da una serie di squilibri intollerabili.

Fino a ieri, quindi, bastava salire sui tetti per gridare “vergogna!”; oggi bisognerebbe avere idee per indicare un nuovo modello di scuola che non può essere fatto di generiche parole d’ordine, ma deve indicare scelte vere (curricoli, docenti, spazi, decentralizzazione, dimensionamento, autonomia, finanziamenti, rapporto con enti esterni, finanziamenti, dispersione, organi di governo, rapporto con il mondo del lavoro ecc.).

Ma PD, SEL, IDV e Terzo polo hanno un’idea (di governo) della scuola da proporre ai cittadini? Oppure condividono il pensiero del ministro Profumo, o pensano di sopravvivere ancora criticando anche Monti e quindi rinviando le scelte necessarie?

Anche qua la politica si gioca il recupero della sua dignità e del suo ruolo.

La scuola del Ministro Profumo

Da Tuttoscuola.com

Il programma del ministro Profumo per istruzione e formazione
Cinque obiettivi strategici e dieci interventi prioritari

(…) il ministro Profumo ha enunciato con precisione quali sono gli obiettivi strategici e le conseguenti azioni prioritarie che il governo intende perseguire in materia di istruzione e formazione.

Cinque sono gli obiettivi strategici:

a) Rafforzare le competenze di base dei giovani;

b) Valorizzare la professionalità dei docenti;

c) Valorizzare l’apprendimento in una pluralità di contesti;

d) Far dialogare i sistemi di istruzione, formazione e lavoro per il rilancio della cultura tecnica e scientifica e il sostegno all’occupazione;

e) Promuovere e sostenere l’innovazione digitale nella scuola.

Dieci, invece, sono le conseguenti azioni prioritarie:

a) Rilancio e sviluppo dell’autonomia nelle scuole (Organico funzionale; Reclutamento; Mobilità; Revisione del regolamento di contabilità delle scuole).

b) Un nuovo modello di governance del servizio scolastico (Conferenze territoriali per l’autonomia/Reti; Nuovi organi collegiali di istituto e territoriali; Legge quadro sul diritto allo studio; Integrazione, orientamento e sostegno).

c) Indicazioni nazionali e curricula (valorizzazione degli elementi portanti della tradizione della scuola italiana con adeguamento alle esigenze educative dellenuove generazioni; Continuità educativa dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria e alla formazione professionale; Nuove tecnologie didattiche per i cosiddetti “nativi digitali”).

d) Sviluppo della professionalità dei docenti (Nuove modalità di formazione iniziale; Tutoraggio intra e inter-scolastico e azioni formative mirate; Carriera dei docenti).

e) Sviluppo del sistema nazionale di valutazione (Valutazione come controllo della qualità del sistema e suo miglioramento in un contesto di piena trasparenza e a sostegno dell’innovazione delle scuole autonome, in linea con le migliori esperienze internazionali).

f) Recupero delle aree scolastiche più compromesse (Interventi specifici di rafforzamento delle conoscenze e competenze irrinunciabili, ai fini della riduzione dell’insuccesso formativo, dispersione e abbandono scolastico, anche attraverso l’apertura delle scuole per tutto l’arco della giornata e il supporto di personale esperto, attuati in sinergia con il Ministero della Coesione territoriale per l’immediato recupero della capacità di spesa delle regioni meridionali più carenti).

g) Integrazione tra i sistemi di istruzione, formazione e lavoro per il rilancio della cultura tecnica e scientifica e il sostegno all’occupazione (Semplificazione dell’offerta formativa, miglioramento dell’orientamento dei giovani al mondo del lavoro e delle professioni; Definizione di un sistema nazionale per l’apprendimento permanente; costituzione di Poli tecnico-professionali; Rafforzamento degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) con miglioramento dell’integrazione pubblico/privato; Rafforzamento della cooperazione con gli Enti territoriali; sostegno alla mobilità territoriale dei giovani attraverso stage, tirocini e altre esperienze di studio/lavoro in altri Paesi).

h) Promuovere il merito e l’eccellenza (Costituzione della Fondazione per il merito, ai fini della gestione del relativo Fondo con lo scopo di promuovere l’eccellenza e il merito fra gli studenti universitari; Borse di studio e prestiti d’onore, anche in forma mista, ai neodiplomati della scuola secondaria superiore selezionati in base alla prova nazionale standard dell’Invalsi).

i) Edilizia scolastica e messa in sicurezza degli edifici scolastici (Iniziative di intervento sia per la costruzione di nuovi edifici, sia per mettere in sicurezza edifici che mancano dei requisiti minimi).

l) Scuola paritaria nel sistema pubblico di istruzione (Semplificazione delle modalità di finanziamento).

Invalsi e Pisa: avanti con i test comparativi.

Tratto da Tuttoscuola.com

Abravanel: Occorre estendere subito i test Invalsi alla maturità

Da Roger Abravanel, autore del volume Meritocrazia: Quattro proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro paese più ricco e più giusto, arrivano oggi un rimpianto e un appello. Il rimpianto è quello di “non aver esteso i test Invalsi alla maturità” e l’appello è per il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini: “Cosa è necessario fare per evitare anche il prossimo anno lo scandalo dei 100 e lode, estendendo il test Invalsi alla maturità e successivamente creando il ‘fondo per il merito’ già approvato dalla legge per allocare borse di studio private e pubbliche ai migliori giovani italiani?

In effetti, il manager italiano sulle colonne del Corriere della Sera (Benvenuti al Sud (con cento e lode) parte dalle indiscrezioni secondo le quali “al Sud i 100 e lode continuano ad essere il doppio che al Nord, la Calabria continua a battere ogni record con un liceo che ha venti 100 e lode mentre i migliori licei del Nord e del Centro ne hanno uno o due”.

Secondo Abravanel, la maturità sarebbe “il momento chiave in cui queste misurazioni dovrebbero essere fatte (in Usa, il test principale creato 80 anni fa, il Sat, si fa solo alla maturità) perché serve a dare una misura obiettiva del merito per selezionare chi va alla università e indirizzarlo”. Ma purtroppo, “i 400 milioni in borse di studio amministrate dalle Regioni (non dal ministero, così prevede la normativa)” sono erogati solo formalmente sulla base del merito. In realtà, l’assegnazione delle borse di studio è regolata da due criteri: il “reddito dei genitori, che è falso nel caso di un italiano su due”, e i “risultati conseguiti, è basato sui voti che però sono anche essi, come visto (l’autore si riferisce alle performance sospette degli studenti meridionali e calabresi NdR), falsi, per cui queste borse di studio vanno a mediocri figli di evasori fiscali”.

La ricetta per Abravanel può essere una sola, “un test standard alla fine delle superiori, se integrato con quello attuale introdotto al secondo anno, può dare una misura obiettiva della qualità dell’insegnamento in quel liceo o in quell’istituto tecnico. Non solo ma se esistesse il test e i 400 milioni di borse di studio andassero agli studenti migliori, avremmo anche una misura obiettiva della qualità delle università: le migliori sarebbero quelle dove vanno gli studenti migliori. E la riforma della università, che tenta di valutare a fatica gli atenei per distribuire i finanziamenti pubblici in senso meritocratico, ne riceverebbe un impulso determinante”.

La riflessione dell’autore di Meritocrazia si conclude con una suggerimento ai genitori, che, secondo Abravanel, “prima di iscrivere i propri figli a settembre, dovrebbero richiedere i test Invalsi della scuola a cui intendono iscrivere i ragazzi e paragonarli a quelle di altre scuole e alla media della propria città. I dati oggi esistono, dovrebbero essere resi trasparenti e prima o poi avverrà, nell’attesa richiediamoli e nessuno può vietarci di conoscerli”.

Valutare si può. E si deve.

Dopo le sterili polemiche sulle prove Invalsi,

polemiche attivate dalle componenti più retrive del mondo scolastico,

ecco una nuova interessante notizia:

Germania: la valutazione delle scuole assegnata ai singoli Länder.

(da www.adiscuola.it)

Leggere per credere.

Invalsi: dopo le polemiche dei BerlusCobas, si va avanti.

A forza di demagogia, il ribellismo conservatore e il clericalismo reazionario

possono danneggiare la scuola pubblica.

Per qualche spunto sulle prove standardizzate, leggere questo intervento su lavoce.info:

L’INVALSI È DEMOCRATICO

di Erich Battistin e Antonio Schizzerotto 19.05.2011

 

 

Invalsi, Berlusconi, Cobas: boicottare la scuola pubblica.

Berluscones e Berluscobas:

la strana alleanza per la dequalificazione della scuola pubblica.

Il Triangolo dell’affondamento della scuola pubblica

Boicottare le prove Invalsi? BerlusCobas contro la scuola pubblica.

 Sistema nazionale di valutazione – Le prove Invalsi alle Superiori

Il governo le ha organizzate male, i Cobas le boicottano peggio.
Scuola pubblica: dopo gli anni dell’immobilismo, arrivano quelli dell’affondamento
 

Dal Triangolo dell’Immobilismo (clicca qui) al Triangolo dell’Affondamento.

 Morale della favola?

Non lasciamo la scuola in mano alla Lega, al PDL e ai Cobas

Valutare gli apprendimenti per migliorare la scuola.

  • Boicottare le prove Invalsi per migliorare la scuola?
  • Le prove Invalsi come strumenti di analisi: da provare, migliorare e infine superare per adottare strumenti più adeguati (una volta trovati).

Il 10 maggio dovrebbero svolgersi, per la prima volta in Italia, le prove Invalsi nelle seconde classi della scuola superiore.

Si tratta di un’analisi comparativa, condotta sia a livello di campione, sia a livello censuario, ovvero tra tutti gli studenti. Per quest’anno la prova riguarda la lettura e la matematica, e inoltre vi sarà un’analisi attenta dei contesti socioculturali in cui si trovano ad operare gli studenti, per valutare il rapporto tra condizioni di partenza ed efficacia del processo di insegnamento-apprendimento.

Niente di nuovo, in verità, sul fronte internazionale, poiché simili prove comparative sono già “a sistema” in molti paesi, e in fondo anche l’Italia ha ri-conosciuto il valore di queste analisi quantitative e qualitative, partecipando alle prove OCSE-PISA, con consapevolezza  – e senza contestazioni – al punto che all’ultima edizione, del 2009, hanno partecipato anche tutte le regioni italiane, proprio per essere valutate e per avere i dati su cui impostare le iniziative di miglioramento.

Quindi, dovremmo dire “finalmente anche l’Italia va in questa direzione”, poiché dopo l’analisi del campione e dell’intera popolazione, ogni scuola avrà una serie di dati oggettivi per valutare il proprio operato, oltre che per esaminare le caratteristiche delle stesse prove somministrate agli studenti. Qui dovrebbe innanzitutto manifestarsi l’autonomia scolastica: nella capacità di valutare e migliorare la propria attività; e si sa che le scuole oggi non hanno strumenti validi e comparabili di misurazione (gli stessi voti hanno un valore al Nord e un valore diverso al Sud; ma anche all’interno di ogni singola scuola, spesso); oltre tutto, questa misurazione è un “dovere costituzionale” dello Stato, che deve garantire i livelli essenziali delle prestazioni in tutto il Paese.

Eppure in questi giorni vi sono alcune componenti sindacali che stanno organizzando il boicottaggio delle prove; le motivazioni su cui si basa la battaglia non sono facilmente smontabili, perché spesso nascono da pregiudizi ideologici, dalla scarsa conoscenza di ciò che accade nel mondo e da una volontaria e ostentata sottovalutazione della portata scientifica e culturale dell’operazione messa in atto; in realtà, il merito della questione c’entra solo in parte, perché alla base del rifiuto c’è un pregiudizio anti-Gelmini e anti-Berlusconi, per cui ogni iniziativa indirizzata contro il governo sembra un’iniziativa positiva.

Ma il boicottaggio delle prove Invalsi è un’iniziativa che va contro il governo? Ovviamente la Gelmini va contestata per le caratteristiche complessive del suo intervento, ma la critica non può diventare un’ossessione, tale da ritorcersi contro la scuola e contro il diritto degli studenti (e della società) di avere una scuola che funziona.

Io credo che in questo caso, come in altri, i promotori del boicottaggio stiano prendendo un grosso granchio e di fatto stiano dando vita ad un’iniziativa che avrà ricadute negative sugli studenti (cioè sulla qualità dei loro apprendimenti) e sulla professione docente, a partire dalla “considerazione sociale”.

Dopo avere creduto per anni che la scuola italiana fosse democratica perché consentiva a tutti di entrare, abbiamo dovuto prendere atto (grazie alla analisi OCSE-PISA: programma internazionale di valutazione delle competenze del quindicenni) che il sistema scolastico italiano è rimasto fortemente classista, perché fornisce preparazioni scolastiche fortemente differenziate: meglio al centro-nord che al sud; meglio i licei, rispetto a tecnici e professionali: e con differenze abissali. Ciò non significa che la scuola del sud sia sempre peggiore di quella del nord, né che i licei siano sempre migliori dei tecnici e dei professionali; accertato che le differenze in uscita sono profonde – e dovrebbero farci riflettere su livello di ingiustizia esistente in Italia, e che la scuola non è riuscita ad eliminare – i dati dell’OCSE ci forniscono anche gli strumenti per valutare il “valore aggiunto” delle scuole, ovvero la capacità delle scuole di intaccare le ingiustizie sociali di contesto, e far fare importanti passi in avanti agli studenti.

Ma queste osservazioni devono nascere da una studio analitico scientificamente impostato, cioè non improvvisato e non autoreferenziale; e come si sa, “scientificamente impostato” non significa “oggettivamente valido per oggi e per sempre”, ma elaborato sulla base di protocolli testati e sperimentati, e validi fino a prova contraria.

Ecco perché le prove Invalsi saranno certamente utili: perché daranno a ogni scuola e a ogni docente del materiale utile per esaminare ciò che è stato fatto e come, e per sapere come si colloca rispetto ad altre realtà: dalle attività di valutazione dei dati emersi – attività svolte dalle scuole stesse – nasceranno le strategie di miglioramento.

Inoltre i decisori politici avranno informazioni utili per impostare la loro politica scolastica E’ questa un’operazione “in sé” di destra, della Gelmini o di Berlusconi? Direi proprio di no, a me pare un’operazione necessaria, nel senso che auspicabilmente anche un ministro di sinistra dovrebbe promuovere un progetto per la valutazione degli apprendimenti, dei docenti e delle scuole: proprio per valorizzare e migliorare la scuola pubblica, ed evitare che diventi strumento di fossilizzazione delle ingiustizie sociali.

Dopodiché la politica scolastica può essere buona o cattiva, ma questo è un piano diverso, che si risolve vincendo le elezioni.

Insomma: per migliorare la qualità del servizio offerto agli studenti (e alla società nel suo complesso) dobbiamo svolgere queste analisi; senza mitizzarle (perché un giorno saranno sicuramente superate: ma prima bisogna usurarle), ma anche senza snobbarle, proprio perché oggi non abbiamo altri strumenti di analisi.

I docenti stessi hanno tutto da guadagnare da un sistema trasparente di autovalutazione e valutazione esterna; e innanzitutto possono guadagnare in credibilità professionale, uscendo dall’autoreferenzialità corporativa, che ha contribuito a ridurli ai minimi termini come considerazione sociale.

E’ proprio una questione di professionalità, e i professionisti non temono di mettere a confronto le loro competenze e il loro aggiornamento.

E’ pur vero che esiste una componente di docenti che preferisce una posizione impiegatizia, fatta di paga bassa ma fissa, pochi controlli, nessuna valutazione; ma questa prospettiva è ormai senza sviluppo.

Dobbiamo tutti augurarci che il dibattito sul futuro della scuola non sia tra la Gelmini e i Cobas: la prima per tagliare i finanziamenti, i secondi per distribuirli a pioggia e in aumenti di personale, senza alcuna verifica sull’efficacia della spesa.

Anche perché i risultati dello scontro tra la politica dei tagli e quella delle proteste velleitarie sono sotto gli occhi di tutti.

Destra e Sinistra per una scuola immobile. E ingiusta.

La scuola pubblica tirata per le orecchie.

Ennesimo appello a difesa di qualcosa; anche gli intellettuali si espongono: Jovanotti, Vecchioni, Celestini, Cerami e tanti altri. Tutti a difesa della scuola pubblica.

Ottimo il principio. Ma siamo certi che la difesa della “scuola pubblica esistente” sia la difesa della “scuola pubblica”?

Mi rendo conto che entrare nel merito – oggi, con Berlusconi al governo – rischia di essere “politicamente scorretto” agli occhi della sinistra, specie per uno come me che si ritiene ancora di sinistra; e può anche essere che ogni occasione sia buona per mettere sotto accusa Berlusconi e chiederne le dimissioni.

Ma in verità, non ci sono molte altre occasioni per parlare della qualità della scuola, anche perché questo tema non interessa granché l’opinione pubblica, più attratta dagli slogans che dall’approfondimento.

Oltre tutto la scuola pubblica, per tanta parte della sinistra, è più che altro una questione ideologica: tra i tanti che se ne proclamano difensori, sono pochissmi quelli che hanno qualche idea significativa e praticabile per migliorarla; e la scuola pubblica italiana (come anche quella privata… con eccezioni in entrambi i casi) ha necessità di radicali interventi, non essendo ovviamente sufficienti quelli effettuati dalla Gelmini.

Quando, periodicamente, vengono pubblicati  i dati PISA-OCSE, non si vedono tanti intellettuali intervenire a difesa della qualità della scuola. Anzi, quei dati vengono per lo più ignorati, fino a quando – magari con molti mesi o anni di ritardo – qualche giornalista li fa riemergere, per lo più in occasione di qualche polemica politica.

E’ già tanto, in effetti, che scrittori e artisti non siano più cercati per spiegare ai lettori come ricordano i loro esami di maturità… In ogni caso non è con appelli generici che la scuola uscirà dalle secche; anzi vedo il rischio di una fossilizzazione nostalgica, se penso alle parole di Jovanotti: “ La scuola pubblica va difesa, curata, migliorata. In quanto idea e poi proprio in quanto scuola: coi banchi, gli insegnanti, i ragazzi e le lavagne. Bisogna amarla ed esserne fieri”.

Ho l’impressione che larga parte degli intellettuali (e delle persone normali) firmatari degli appelli abbiano in testa la scuola da loro frequentata (magari trent’anni prima, magari un liceo, magari classico). Insomma, molto spesso prevale un’idea nostalgica della scuola, che non corrisponde alla realtà di una scuola molto eterogenea, che spesso obbliga, annoia, allontana e punisce i giovani.

Questo modello di scuola deve essere ribaltato, perché ha prodotto – in Italia, alla faccia dei valori costituzionali – una dura e lampante selezione di classe, illudendo i ceti più deboli di poter accedere all’istruzione e di fatto relegandoli a una formazione di serie B, o C o D, mentre i giovani dei ceti sociali benestanti hanno potuto scegliere le scuole migliori, i licei (pubblici e privati).

E’ giunto il momento di affermare con forza che la scuola non è democratica se permette a tutti di entrare, ma è democratica se permette a tutti di uscire con una formazione valida e spendibile nella società e nel mercato del lavoro.

Qua si misura la qualità della scuola pubblica; e oggi in Italia, al contrario, abbiamo molta dispersione scolastica, con espulsioni ed emarginazioni dal sistema formativo e molti profondi squilibri regionali e sociali.

In conclusione: non saranno generici appelli a salvare la scuola pubblica, il cui declino è cominciato ben prima di Berlusconi.

La scuola pubblica (statale, regionale, comunale) è certamente una scuola da salvare, ma deve esserci un salto di qualità, perché la scuola esistente è una scuola ingiusta; e i docenti, l’unica garanzia della qualità esistente, di quella residua e di quella futura, vanno selezionati, valutati, pagati, incentivati e premiati.

Ma le strutture devono cambiare, sia a livello curricolare sia a livello logistico-organizzativo.

E qui serve un intervento vero e profondo con relativi investimenti: decentralizzazione del sistema scolastico (applicando il titolo V della Costituzione, voluto dal centrosinistra e oggi temuto); reclutamento, valutazione e retribuzione dei docenti a livello europeo; personalizzazione dell’insegnamento; apprendimento in rete e nuove tecnologie didattiche; cultura del lavoro.

Ecco: ho l’impressione che pochi tra i firmatari degli appelli possano sostenere riforme di questo tipo, senza le quali la difesa della scuola pubblica non ha sostanza.