Insegnanti, bullismo, autorevolezza.

L’autorevolezza degli insegnanti e il bullismo anti-docenti.

I recenti fatti di bullismo ai danni dei docenti hanno riproposto il problema della scuola in modo parziale e marginale.

Della scuola, infatti, si parla solo in occasioni particolari e per lo più scandalistiche: il bullismo, le prove Invalsi, il preside-sceriffo, i tagli, i docenti deportati, l’alternanza scuola-lavoro fatta nelle stalle.

La scuola, in realtà, non è trattata come problema “di sistema”, come un problema strutturale dell’Italia, al di là delle chiacchiere giornalistiche.

La politica se ne interessa solo in chiave propagandistica e il sindacato svolge una perniciosa funzione massificante e omologante al ribasso.

Torno rapidamente alla questione.

Di fronte ai fatti di questi giorni, vengono date varie risposte: colpa del ’68, colpa dei tagli, della Gelmini, di Renzi, delle famiglie che difendono i figli.

Tra le altre motivazioni, si porta quella dell’indecoroso trattamento economico e sociale dei docenti che avrebbe fatto perdere loro l’autorevolezza e un minimo di prestigio.

In ogni tentativo di spiegazione c’è una parte di verità. Ma l’ultimo punto mi vede fermamente contrario.

Attenzione, ammetto che il prestigio sociale dei docenti (intesi come categoria) sia ridotto all’osso e premetto che la retribuzione dei docenti va portata a livelli europei e che ogni docente deve avere tutti gli strumenti per lavorare con successo; ma bisogna anche ammettere che la categoria ha fatto di tutto per perdere (come categoria) il prestigio sociale, grazie anche al contributo attivo del sindacato.

La scuola intesa come “ammortizzatore sociale”, l’incapacità di selezionare i docenti, la pratica pluridecennale delle sanatorie (per docenti e dirigenti), il rifiuto di ogni valutazione, il rifiuto pregiudiziale di ogni riforma che non preveda l’aumento di ore, di materie e di cattedre; l’egualitarismo assoluto interno (tra docenti) e quello tendenziale tra le varie componenti (impiegati e bidelli, per capirci); per non parlare del vittimismo (es. “insegnanti deportati”), degli incatenamenti, della partecipazione alle occupazioni degli studenti: anche questi sono elementi che hanno contribuito a vanificare il prestigio degli insegnanti.

E così abbiamo molti insegnanti scontenti, arrabbiati con tutti, sempre a rifiutare qualunque novità; in una parola, infelici; del resto, questa è anche l’Italia.

Ricordo, a questo proposito, un episodio capitatomi a scuola.

Professore, ma come fa ad essere sempre felice?”, mi chiese una ragazza in primo banco, una mattina, mentre – appena entrato in aula –  buttavo l’occhio negli ultimi banchi dove stavano sempre gli studenti più difficili.

Eh, delle volte me lo chiedo anch’io; e mi sono dato questa risposta: innanzitutto io credo che la felicità esista “per istanti”, non come condizione “di una vita”; un po’ quello che cerco di dirvi anche quando leggiamo la poesia. E a scuola sono felice (in verità, non sempre sempre) perché non mi riconosco nella categoria dei professori lamentosi; quando chiudo quella porta e sono insieme a voi, mi rendo conto di fare il lavoro più bello del mondo; l’unico lavoro anticapitalistico: parlo sempre di storia e letteratura; vivo in mezzo ai ragazzi; mi circondo di libri; sperimento le nuove tecnologie; non sono controllato, se non da voi; il preside non ha nulla di rimproverarmi, perché faccio il mio dovere; quando leggo un libro o anche il giornale, quando vado al teatro o al cinema o ad un concerto… mi sto aggiornando; vado anche in viaggio di istruzione; ogni anno organizziamo il viaggio letterario; ho ottime relazioni con un bel gruppo di colleghi che sono diventati amici… insomma, perché dovrei essere arrabbiato? Io qua dentro sto bene, anzi, sto benissimo!”.

L’autorevolezza.

Vi sono docenti autorevoli e docenti poco autorevoli; vi sono docenti il cui prestigio è riconosciuto e docenti ai quali non viene riconosciuto alcun valore. Ci sono insegnanti che restano e insegnanti che “passano via”.

Lo sanno tutti.

Dove nasce l’autorevolezza di un docente? E cosa caratterizza il bravo docente?

La risposta può essere rapida, se vogliamo restare nei termini generali. Un bravo docente deve:

  1. conoscere bene la materia che deve insegnare;
  2. osservare le caratteristiche delle classi e degli studenti;
  3. adottare metodologie che consentano agli studenti di imparare, adeguandole alle caratteristiche degli studenti e delle classi;
  4. interessare gli studenti alla disciplina, problematizzandola e attualizzandola;
  5. stabilire relazioni umane e professionali con gli studenti.

Il punto 2 non deve essere realizzato attraverso l’uso di schede, griglie, test e altre diavolerie, ma soprattutto con il naso del “buon docente”, ovvero della persona (docente) che guarda negli occhi le persone (studenti), provocando uno scambio immediato di sensazioni e di emozioni.

Sì, lo so che è un’eresia, ma il “buon naso” funziona meglio delle “griglie con descrittori e indicatori”; e poi bisognerebbe spiegare in cosa consista il “buon naso”: esperienza, conoscenze, umanità, pedagogia, didattica?

Come si vede nei 5 punti sopra delineati, c’entrano nulla lo stipendio e il prestigio sociale. Un buon docente, quando ha chiuso la porta della sua aula, ha tutto il riconoscimento che riesce a guadagnarsi dagli studenti e dalle famiglie. E in più gli resta il problema di quegli studenti con i quali non riesce a dialogare, a interagire.

Questo significa che un docente di questo tipo non subirà mai violenze? In linea di massima sì, significa questo; e se comunque questo docente dovesse incontrare e “scontrarsi” con un bullo, saprebbe come metterlo al suo posto.

Ma ho l’impressione che ci siano anche parecchi docenti inadeguati alla bisogna e non idonei ad insegnare; in effetti, tra le 5 caratteristiche sopra delineate, solo una riguarda la conoscenza della “materia” (n. 1), ma la capacità di trasmettere e generare le conoscenze attraverso l’utilizzo di metodologie adeguate e la capacità di interessare gli studenti e di attualizzare gli argomenti studiati (n. 3 e n. 4) possono sopperire ad una conoscenza non ottima delle disciplina: insomma – per fare un esempio – la Storia del professore di Lettere non è la stessa Storia dello storico di professione.