La scuola tra restaurazione e finte riforme.

Registri elettronici, badge e tablet: finte riforme.

La scuola non si cambia con la burocrazia, ma con la responsabilizzazione:

autonomia e regionalizzazione.

 

La scuola continua ad essere sotto attacco: l’attacco concentrico del populismo “sindacal-sinistrese”e della tecnocrazia “capital-informatica”.

 

I sindacati e la vecchia sinistra hanno sempre ritenuto che la scuola dovesse caricarsi di ore di lezione, di materie insegnate, di insegnanti e di personale amministrativo. Questa impostazione ha creato molte degenerazioni e molte illusioni: innanzitutto l’illusione che la scuola potesse fornire posti di lavoro a prescindere dal numero di alunni e dalla sostenibilità reale – da parte dei giovani – del monte ore di lezione e del numero di materie insegnate.

E così: tante materie, tante ore di lezione (talmente tante che si è stati costretti a ridurne la durata a 50 minuti, con uno spreco enorme di risorse), tanti professori e tanto personale: senza che vi fosse un beneficio per la qualità media degli apprendimenti, soprattutto alle superiori, come dimostrato da tutte le indagini internazionali.

Al contrario, si è creato uno squilibrio enorme tra la scuola del Sud e quella del Nord e tra i diversi corsi di studio. Oltre tutto la scuola ha perso, a partire dagli anni Ottanta, la funzione di riequilibrio sociale svolta egregiamente, ed è divenuta fattore di cristallizzazione delle differenze sociali.

Non a caso, negli anni Novanta, i ministri Bassanini e Berlinguer, hanno cercato di mettere mano al degrado del sistema con l’Autonomia scolastica e il tentativo (sia pure sommario) di avviare una sistema di valutazione dell’attività dei docenti, trovando l’opposizione proprio dei sindacati e della sinistra.

Il governo Berlusconi, a sua volta, ha tentato di far passare per “riforma” alcuni tagli di bilancio (che hanno ridotto il già scarso finanziamento alla scuola), anche se è innegabile che alcune tipologie di interventi dovevano, prima o poi, essere fatti: ad esempio la revisione dei curricoli, del monte ore settimanale di lezione e delle centinaia di sperimentazioni, mai valutate seriamente.

Berlusconi e Gelmini, in sostanza, hanno messo in difficoltà la scuola con i tagli di bilancio, vanificando ciò che di necessario vi era in taluni interventi.

Ma la tanto vituperata riforma Gelmini, poteva essere un’occasione per il centrosinistra: l’occasione per costruire quella scuola moderna di cui ha bisogno il Paese; e invece la sinistra politica e il sindacato continuano a vagheggiare la scuola pre-Gelmini, cioè sognano un ritorno al passato.

 

Il Ministro Profumo, dal canto suo, esperto in annunci di riforma, sembra concentrarsi soprattutto sugli elementi burocratici: pagelle elettroniche, assenze elettroniche, comunicazioni tramite e-mail e avanti con le innovazioni.

Ma a mio avviso la scuola non ha bisogno, adesso, di questo. Ha bisogno di scelte strategiche, non pratiche.

 

Le scelte strategiche che oggi nessuno ha il coraggio di mettere in cantiere sono le seguenti:

  1. avviare il sistema di valutazione nazionale (degli apprendimenti, dei docenti, dei dirigenti, delle scuole e del sistema scolastico) e renderlo operativo ed efficace;
  2. far entrare nella scuola insegnanti giovani, mentre il concorso annunciato si avvia a “selezionare” insegnanti anziani;
  3. dare gambe all’autonomia degli Istituti scolastici, fino alla scelta dei docenti (selezionati tramite una normativa nazionale); ovviamente nel rispetto dei parametri del dimensionamento delle singole istituzioni, per evitare sprechi e creare sinergie;
  4. realizzare il Titolo V della Costituzione, secondo cui lo Stato deve deliberare su norme generali,  principi fondamentali e livelli essenziali delle prestazioni: il resto compete alle Regioni;
  5. incrementare il finanziamento agli istituti scolastici (per rinnovare ed incrementare le dotazioni anche informatiche);
  6. intervenire sull’edilizia scolastica;
  7. aumentare gli stipendi dei docenti.

 

Insomma: i problemi della scuola non possono essere identificati con quelli dei precari o con quelli del registro elettronico.

 

In realtà siamo molto indietro e il futuro non ci riserva nulla di buono, perché il ministro guarda alla tecnica, i sindacati guardano all’assunzione di personale e i partiti guardano al consenso che – come si sa –  nulla ha a che vedere con la qualità delle scelte; anzi, spesso va in direzione opposta.

Se si avviasse la logica della “spesa standard” anche per la scuola e le Regioni fossero responsabilizzate, forse qualcosa di nuovo potrebbe accadere.

Ma come è ormai chiaro, il cosiddetto “federalismo” è scomparso dall’agenda dei partiti politici, anche da quella dei partiti di centrosinistra, che hanno approvato la riforma federalista del Titolo V° della Costituzione.