Sfidare la Gelmini sul riformismo, non sulla conservazione.

Nuovo anno scolastico: la protesta sì, ma la proposta qual è?

Sfidare la Gelmini sul riformismo, non sulla conservazione.

 Il nuovo anno scolastico si apre ancora una volta all’insegna delle polemiche. E anche quest’anno, troviamo da un lato un Ministro molto orgoglioso della sua riforma e dall’altro una frastagliata opposizione formata da docenti, genitori, studenti e sindacati di varia ispirazione.

 Riprende così il rito delle forme di lotta che ricalcano quelle già condotte nei decenni trascorsi: scioperi (non si sa quanto partecipati), blocco dei viaggi d’istruzioni, minaccia di blocco dell’adozione dei libri di testo, blocco delle attività aggiuntive e degli straordinari, e avanti così.

 Forme di lotta ormai consunte e un po’ fuori moda per molti motivi, non ultimi la scarsa adesione dei docenti e il mancato conseguimento degli obiettivi. Gli obiettivi… ma quali sono gli obiettivi della protesta?

 Qui si apre la vera questione, perché se è vero che la riforma Gelmini può non piacere in tutto o in parte, è altrettanto vero che i “contestatori” non hanno un modello di scuola da contrapporre (a parte generiche ed ormai vuote parole d’ordine). Si rischia così che la battaglia contro la Gelmini sia puramente “conservatrice”, addirittura “restauratrice”, nel senso che punta a ripristinare lo “status quo ante”.

 Ma una proposta seria nasce da un’analisi lucida dei molti problemi della scuola italiana: e solo su questa analisi può basarsi una protesta che non sia fine a se stessa.

Le analisi internazionali non devono essere strumentalizzate contro questo o quel governo: esse vanno conosciute, perché mettono in evidenza le tante falle del sistema scolastico italiano sia dal punto di vista della preparazione degli studenti, sia dal punto di vista della utilizzazione del denaro pubblico. E innanzitutto evidenziano che in Italia (a dispetto della Costituzione e delle “belle idee”) esiste una intollerabile divaricazione tra la scuola del Nord e quella del Sud e (nel Nord e nel Sud) tra i Licei e l’istruzione professionale.

Insomma: dopo anni di gestione statale e centralizzata, il risultato è quello di una intollerabile ingiustizia “geo-sociale” che penalizza ed inganna le fasce sociali più deboli e le aree più deboli del Paese.

 Per questo motivo di fondo non è sufficiente una protesta astratta contro i provvedimenti della Gelmini, ma bisogna proporre agli italiani un modello di scuola che sappia affrontare i problemi veri ed aprire nuovi orizzonti.

 Sarebbe miope e perdente limitarsi alla protesta per chiedere di abrogare la riforma e tornare al sistema precedente. La Gelmini va sfidata sul terreno del cambiamento, non su quello della conservazione.

Io limito, in questa sede, a lanciare qualche idea di fondo.

  1. Bisogna giungere all’applicazione del Titolo V° della Costituzione, con la completa decentralizzazione del sistema scolastico, in regime di federalismo fiscale; decentralizzazione e reale autonomia scolastica metteranno finalmente le comunità locali di fronte al problema della qualità della “loro” scuola, della efficacia della spesa pubblica e del rapporto con il mondo del lavoro;
  2. bisogna proporre curricoli di studio realistici ed aggiornati, che tengano conto della specificità dei giovani in quanto “nativi digitali”, puntando non sul numero di materie, di insegnanti e di ore di scuola, ma sulla qualità dei docenti, sulla qualità delle tecnologie e sul coinvolgimento dei giovani stessi, anche attraverso la progressiva “personalizzazione” dei curricoli (con spazio all’opzionalità);
  3. bisogna premiare i docenti, immaginando per loro una carriera, la creazione di professionalità intermedie e riconoscendo una retribuzione europea (a fronte di una valutazione che garantisca la loro professionalità).

 Ma le tre proposte di cui sopra non possono convivere con una scuola degli sprechi o concepita come struttura che eroga posti di lavoro, come è stato finora: tanti insegnanti, tante materie, tante ore di scuola per gli studenti, preparazione mediocre, bassi stipendi e scarso controllo, in una scuola organizzata come cento anni fa: un docente, un’aula, una classe, un libro, una lavagna, un’ora di lezione, un registro. In poche parole: bisogna spendere di più per la scuola, ma bisogna anche spendere meglio.

 E poiché oggi pare che il problema della scuola sia solo quello del “precariato”,  voglio dire che è assolutamente necessario che vengano stabilizzati i docenti sulle cattedre effettivamente libere, ma è altrettanto necessario che si capisca che il problema del precariato è un drammatico problema sociale dell’Italia, ma non è un problema che può essere risolto solo dalla scuola con assunzioni generalizzate.

 Ecco. Solo con una visione riformatrice della scuola, sarà possibile stabilire un contatto con l’opinione pubblica, e trasformare la giusta protesta dei docenti e degli studenti in un prospettiva di miglioramento; ma senza una riconoscibile prospettiva riformatrice i docenti “scontenti” sono destinati a chiudersi in una protesta nostalgica, di fatto incapace di farci andare verso una scuola di qualità.

Protestare sì, ma per riformare la scuola, non per conservare l’esistente.

SCUOLA. Protestare?

Sì, per una riforma vera e profonda,

non per una restaurazione; e senza penalizzare gli studenti.

Bloccare i viaggi di istruzione: è una protesta vera?

Agenzie di viaggio:
non ne hanno un danno consistente, tanto è vero che molte non inviano nemmeno i preventivi richiesti.

Alberghi:
molti sono quelli che addirittura rifiutano i viaggi d’istruzione, per non avere fastidi.

Docenti:
sono soddisfatti quelli che bloccano i viaggi, ma gli altri rischiano di vedersi limitata la libertà di insegnamento.

Famiglie:
sono contente perché risparmiano le spese del viaggio e delle uscite didattiche.

Governo:
risparmia i soldi dei rimborsi ai docenti.

Scuole:
risparmiano migliaia di euro, utilizzabili in altre attività: acquisto materiale, corsi di recupero; in più, non hanno il problema di riorganizzare le attività quando i docenti sono assenti per viaggio d’istruzione.

Studenti:
sono danneggiati sul piano dell’apprendimento e della socializzazione con docenti e compagni
(se i viaggi hanno un’utilità didattica).

E quindi, chi viene danneggiato dal blocco dei viaggi d’istruzione?
1. gli operatori turistici (non tutti, ovviamente), che non sono “controparte” dei docenti;
2. glistudenti (tutti ), con cui i docenti dovrebbero essere solidali.

E chi ci guadagna?
1. i docenti che protestano, soddisfatti per avere protestato;
2. il governo, che vede ridotta l’area della protesta per la riduzione dei finanziamenti, visto che con il blocco dei viaggi ci sono dei risparmi;
3. le singole scuole, che si trovano un piccolo gruzzolo da redistribuire e con meno problemi organizzativi.

Allora:
1. se i viaggi d’istruzione sono una valida attività didattica, il blocco peggiora la qualità dell’offerta formativa e fa ricadere sugli studenti (cioè la componente già colpita e più indifesa) le conseguenze della protesta;

2. se i viaggi d’istruzione non servono (per cui si può dire che gli studenti non vengono molto danneggiati), il governo può ringraziare i docenti che bloccano per… avere eliminato degli sprechi, al fine di meglio utilizzare le risorse già scarse, e per avere garantito la continuità didattica alle classi che non vanno più in viaggio (e quindi non perdono giorni di scuola) e a tutte le altre che sarebbero rimaste per alcuni giorni senza docente.

Mah…..